Secondo un recente sondaggio, la metà dei CEO vorrebbe impiantare chip nei loro dipendenti.
Quando si considera ciò che il mondo del lavoro si aspetta dalla tecnologia, non sempre tutti i componenti di quel mondo sono d’accordo: i lavoratori generalmente confidano nell’introduzione di strumenti che allevino i lavori più pesanti e semplifichino quelli ripetitivi, noiosi e poco creativi; i manager – rivela un recente studio di Advanced – a quanto pare cercano nuovi modi per controllare sempre più da vicino i dipendenti.
L’annuale Business Trends Survey, da poco pubblicato, ha intervistato oltre 5.000 dirigenti d’azienda, chiedendo loro quali previsioni si sentano in grado di fare per il mondo del lavoro del 2030, con particolare attenzione circa l’avanzare della IA e dell’introduzione di nuove tecnologie.
Tra tutti gli aspetti considerati particolarmente interessante è il fatto che quasi la metà (per la precisione il 47%) degli intervistati in posizioni dirigenziali elevate (Amministratori Delegati, Direttori Generali) è convinta che entro il 2030 l’uso di «impianti tecnologici negli esseri umani» sarà di uso comune. In altre parole, a quanto pare una buona parte di manager vorrebbe microchippare i dipendenti, un po’ come si fa con gli animali domestici.
La pratica già ora non è del tutto inedita. Negli Stati Uniti, per esempio, un’azienda che Advanced non cita per nome ha iniziato a seguirla nel 2017, scatenando un dibattito circa la sua liceità e portando una decina di Stati a bandirla del tutto.
Per approfondire:
Ciò non ha fermato la volontà dei dirigenti di seguire da molto vicino i loro dipendenti. «Alcuni datori di lavoro già forniscono dei wellness tracker per aiutare il personale a migliorare salute e benessere, potenzialmente regalando all’azienda l’accesso ai dati medici personali dei lavoratori» racconta Alex Arundale, di Advanced HR.
«Altri» – continua Arundale – «usano software di monitoraggio remoto dei lavoratori per gestire quanti lavorano da casa. I microchip impiantati nelle persone potrebbero essere il passo successivo rispetto a queste tecnologie, che aprirà certamente un vaso di Pandora di questioni etiche riguardanti la privacy, la proprietà dei dati, e la sicurezza».
Spunti di approfondimento:
L’idea, secondo i reparti HR delle aziende interessate a questo sistema, è che seguire in modo personalizzati i dipendenti consenta di tracciare con assoluta accuratezza le prestazioni e la produttività, valutando più la qualità che la quantità e migliorando le comunicazioni tra personale e manager; questi ultimi potranno così operare gli «aggiustamenti» necessari per puntare a obiettivi sempre più alti.
Se questo ragionamento sembra considerare i dipendenti come macchine che vanno di tanto in tanto messe a punto, probabilmente il motivo è che è difficile vederla in un modo diverso, anche se chi gestisce le “risorse umane” afferma che solo così si può fare in modo che i dipendenti siano «coinvolti nell’azienda» e abbiano «un’esperienza migliore», espressioni che tuttavia paiono voler semplicemente significare «aumento della produttività».
Comunque la si veda, le “previsioni” (o forse sarebbe meglio parlare di “speranze” e “desideri”) dei dirigenti vanno nella direzione di un controllo personale sempre più stretto, da far impallidire quello di cui da tempo è accusata Amazon.
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E se davvero entro sette anni si arrivasse a tanto, davvero accettereste senza fiatare di venire microchippati dal datore di lavoro?