Messi a punto chip superveloci che usano la luce per addestrare i modelli di Intelligenza Artificiale, riducendo i consumi di energia e garantendo una maggiore sicurezza. Sono i chip fotonici in silicio descritti sulla rivista Nature Photonics e messi a punto sotto la guida di Nader Engheta, dell’Università della Pennsylvania e considerato uno dei pionieri nello sviluppo di nanomateriali.
Per elaborare i calcoli, i computer tradizionali utilizzano flussi di corrente elettrica sotto forma di ‘nuvole’ di elettroni, ma già da qualche anno sono allo studio chip con un analogo funzionamento ma che tentano di sostituire gli elettroni con ‘treni’ di fotoni, le particelle che costituiscono la luce. Si tratta dei cosiddetti chip fotonici, dispositivi che hanno il vantaggio di essere più veloci e con meno consumi.
Un importante passo in avanti verso il loro reale utilizzo all’interno dei server, dei computer usati nei grandi centri di calcolo e per addestrare i modelli di IA, arriva ora grazie ai nuovi chip fotonici realizzati in silicio, lo stesso materiale dei chip elettronici tradizionali. La novità introdotta dai ricercatori è nell’architettura dei chip, che invece di avere uno spessore uniforme ha invece gobbe e avvallamenti: variazioni di altezza che permettono di controllare, come mai prima, la propagazione dei fotoni secondo alcuni schemi specifici.
I nuovi chip, osservano gli autori della ricerca, sarebbero perfettamente adatti per eseguire le cosiddette moltiplicazioni di matrici vettoriali, un’operazione matematica fondamentale nello sviluppo e nel funzionamento delle reti neurali. “Sono dispositivi già pronti per applicazioni commerciali – ha rilevato Engheta – e potenzialmente già integrabili alle unità di elaborazione grafica (Gpu), la cui domanda è salita alle stelle con il diffuso interesse in sistemi di IA”.
Oltre alla maggiore velocità e al minor consumo di energia, il nuovo chip aumenterebbe anche la sicurezza perché non ha bisogno di archiviare le informazioni per processarle: “Nessuno può hackerare una memoria inesistente per accedere alle tue informazioni”, ha aggiunto uno dei coautori dello studio, Firooz Aflatouni.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA