Siete seduti al bar a parlare con gli amici dell’ultima canzone di un cantante che vi piace o delle vacanze che vorreste fare in Brasile; poi vi alzate, salutate e quando riprendete in mano il telefono, visitando un sito o scorrendo i post sui social, notate una pubblicità del prossimo concerto di quel cantante e, subito dopo, quello di una compagnia aerea che fa sconti per i voli verso Rio de Janeiro. Vi è mai capitato di vivere qualcosa di analogo? Probabilmente sì.
Situazioni come queste accendono il dibattito sulla privacy e sull’ascolto attivo dei nostri dispositivi, soprattutto perché alcune coincidenze sono così precise da far pensare che qualcuno possa effettivamente captare ciò che diciamo per condizionare le scelte d’acquisto.
Il caso CMG. Ma quanto c’è di vero in questa ipotesi? In effetti, il timore che i nostri smartphone possano ascoltare le conversazioni private non è solo frutto della fantasia, ma si basa sull’esistenza di tecnologie semplici, unite alla diffusione di pratiche di marketing sempre più invasive. Negli Stati Uniti, ha recentemente fatto scalpore il caso di Cox Media Group (CMG), azienda finita al centro del dibattito perché aveva presentato ai suoi clienti – i giganti dell’informatica Google, Amazon e Facebook – soluzioni pubblicitarie per fornire annunci personalizzati basate sull’ascolto in tempo reale delle conversazioni.
L’idea era proprio quella di raccogliere dati vocali con cui identificare bisogni e preferenze degli utenti e poi proporre pubblicità mirate e offerte specifiche, ovviamente lasciando fare il lavoro a un software di Intelligenza Artificiale. Le critiche non si sono fatte attendere, rafforzando le preoccupazioni sulla violazione della privacy e portando la stessa azienda a fare marcia indietro.
Ascolto attivo. La funzione proposta da CMG si chiama “Active Listening“ e la sua esistenza è stata portata alla luce da un’inchiesta giornalistica effettuata dalla giovane testata indipendente 404 Media, fondata nel 2023 da un gruppo di ex dipendenti di Vice.
La società ha dovuto ritrattare le proprie affermazioni dopo la pubblicazione di alcuni “pitch deck” (presentazioni aziendali) inerenti l’offerta, in cui si leggono frasi del tipo “Con Active Listening, CMG può ora usare i dati vocali per indirizzare la tua pubblicità esattamente alle persone che stai cercando” oppure “Immagina un mondo […] in cui nessun mormorio pre-acquisto rimane inascoltato e i sussurri dei consumatori diventano uno strumento per indirizzare, ritargettizzare e conquistare il tuo mercato locale“.
Marcia indietro. CMG ha chiarito che il servizio non prevede un vero e proprio ascolto delle conversazioni in diretta, ma piuttosto l’utilizzo di dati provenienti da terze parti, riaggregati e resi anonimi. Nonostante la precisazione, Google si è affrettata a comunicare di aver rimosso CMG dalla lista dei suoi partner commerciali, mentre Amazon e Facebook hanno specificato di non essere coinvolte in alcun modo nel programma, sottolineando che le loro piattaforme rispettano stringenti criteri di privacy e non prevedono l’ascolto non autorizzato.
L’illusione di ascolto. E allora come mai a tutti è capitato di provare la sensazione di essere spiati dal proprio dispositivo? Parte della risposta risiede in un fenomeno psicologico noto come “illusione di frequenza” o effetto Baader-Meinhof. Quando ci focalizziamo su un argomento o su un prodotto, infatti, diventiamo subito più attenti alla sua presenza, notandolo più di altri. Inoltre, il nostro cervello tende a notare solo le coincidenze più evidenti, lasciando in secondo piano tutte le altre.
Il ruolo degli algoritmi. Questi due aspetti psicologici, combinati ai sofisticati algoritmi che analizzano i nostri comportamenti online, contribuiscono a creare l’illusione che i nostri telefonini sappiano sempre ciò di cui abbiamo bisogno. Ma c’è da aggiungere un ulteriore aspetto: più che l’ascolto diretto, a essere monitorata è l’attività che svogliamo costantemente sul web, e con la nostra complicità. D’altra parte, questo è ciò che avviene quando accettiamo le condizioni proposte da siti e app, talvolta senza neanche leggerle.
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