Anzianotti e conservatori: è questo, in estrema sintesi, il profilo tipico del pubblicatore seriale di fake news che ha seminato zizzania sui social durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali americane del 2016. È quanto emerge da uno studio recentemente pubblicato su Science che ha analizzato in modo approfondito i tweet a sfondo politico pubblicati con lo scopo di gettare discredito sui vari candidati che hanno partecipato alla corsa alla Casa Bianca tra il 1° agosto e il 6 dicembre 2016.
Pochi. ma non troppo buoni. Secondo la ricerca i diffusori di fake news sono utenti piuttosto attivi: hanno pubblicato in media 70 tweet al giorno a testa, anche se ciascuno di loro ha un numero di follower tutto sommato limitato. La cosa che forse sorprende di più è scoprire che la diffusione delle bufale è concentrata nelle mani di pochissime persone: lo 0,1% degli utenti identificati come “cialtroni” è infatti responsabile dell’80% delle notizie false pubblicate.
I ricercatori, guidati da David Lazer della Northeastern University, sono partiti dalle liste pubbliche di account spara-balle compilate e mantenute da giornalisti, accademici e volontari amanti della verità, come quelle disponibili su Truthfeed.com. Hanno selezionato gli utenti che twittavano con il loro nome e cognome e che indicavano nel proprio profilo la città di origine. Gli accademici hanno incrociato questi dati con i database pubblici di cittadini iscritti alle liste elettorali ottenendo così un elenco di 14.600 utenti pubblicatori di fake news identificati per nome e cognome, sesso ed età.
Il lato oscuro. Dallo studio è emerso che la diffusione e la circolazione delle fake news durante la campagna elettorale del 2016 sono stati tutto sommato limitati e concentrati all’interno di gruppi specifici di utenti. L’analisi dei tweet degli utenti oggetto dello studio ha permesso a Lazer di inquadrare politicamente gli utenti coinvolti: la maggior parte di loro era collocabile tra la destra e l’estrema destra. Uno studio analogo è stato condotto nel mese di gennaio da Andrew Guess dell’Università di Princeton. Guess ha chiesto a 1.300 utenti di Facebook di condividere con i ricercatori il proprio feed così da poter identificare i pubblicatori e i diffusori di fake news.
Lo studio ha evidenziato che solo l’8,5% degli utenti condivide e interagisce con le notizie false pubblicate da quelle che sono vere e proprie fabbriche della bufala politica. Interessante notare come la maggior parte di questo 8,5% sia composto da persone con più di 65 anni di età.
I due studi, pur se condotti in maniera separata e con metodi diversi, sono dunque giunti a conclusioni molto simili.
L’età conta. Ma come mai l’età sembra essere un fattore determinante nella quantità di bufale diffuse?
Secondo Guess la generazione dei 60-70 enni è cresciuta in un periodo in cui la fiducia nei media tradizionali come i giornali o la TV era molto alta. Allo stesso modo queste persone oggi sono portate a credere a tutto ciò che leggono online: è come se il fatto di non essere nativi digitali inibisse il loro senso critico e la loro capacità di discernimento.