Il computer più veloce del mondo è tutto italiano: lo sta realizzando al Politecnico di Milano un’equipe di scienziati guidata dal professor Daniele Ielmini.
Il nuovo computer, molto più veloce rispetto anche agli avveniristici computer quantistici, sovverte le tradizionali tecnologie utilizzate nell’informatica convenzionale.
In un comune elaboratore digitale, infatti, ogni singolo calcolo viene portato a termine in tre fasi distinte: nella prima i dati necessari vengono spostati dalla memoria all’unità di calcolo. Qui vengono effettuate le operazioni e il risultato ottenuto viene nuovamente trascritto nella memoria.
Che memoria! La nuova tecnologia messa a punto a Milano permette di effettuare le operazioni di calcolo direttamente in memoria, raggiungendo così velocità di elaborazione impensabili con le tecnologie sperimentate fino a oggi, nemmeno con le macchine quantistiche.
Cuore del supercomputer è una matrice di memristori di nuova concezione. Il memristore è un componente elettronico il cui nome viene da memoria e da resistore (quest’ultimo più comunemente chiamato resistenza): una griglia di questi speciali componenti elettronici in scala nanometrica memorizza i valori analogici e permette di completare i calcoli senza bisogno di spostare le informazioni. Il risultato? Una velocità di elaborazione fino a oggi nemmeno ipotizzata.
Le applicazioni. I nuovi processori potrebbero dare una svolta decisiva allo sviluppo di tutti quei software dove la velocità di elaborazione è la chiave del successo, per esempio le reti neurali e tutti i sistemi di intelligenza artificiale.
Una vettura autonoma, per esempio, che deve analizzare le immagini ricevute dalle telecamere e distinguere un pedone da una bici e sapere riconoscere senza tentennamenti ogni cartello stradale: i nuovi processori consentiranno di ridurre i tempi di addestramento dell’AI e permetteranno di classificare più immagini nella stessa quantità di tempo riducendo così gli errori.
Le nano matrici vengono realizzate Centro di micro e nano fabbricazione Polifab del Politecnico di Milano, all’interno di una “clean room”, una stanza asettica dove la polvere non può entrare. Questi componenti elettronici hanno dimensioni nell’ordine del miliardesimo di metro: è chiaro come un granello di polvere, che è molto più grande, potrebbe comprometterne seriamente il funzionamento.