Un giovane di 30 anni, Thibault, che quattro anni fa si spezzò l’osso del collo in una caduta che lo lasciò completamente paralizzato, è tornato a camminare: il merito è di un esoscheletro, di un team di scienziati che hanno inventato un metodo rivoluzionario per controllarlo e, soprattutto, della sua mente. L’esperimento (raccontato su Lancet) non è il primo del suo genere – esoscheletri e arti artificiali sono sempre più diffusi – ma è il primo a trovare la soluzione a uno dei problemi più comuni quando si parla di fusione tra uomo e robot.
Attenti alle infezioni. È da anni che studiamo il modo di collegare il nostro cervello a una macchina e stimolarla, facendole compiere azioni che il nostro corpo non può più svolgere. Fino a oggi, però, questo tipo di interfaccia uomo-macchina prevedeva l’inserimento di elettrodi ultrasottili direttamente nel cervello, per intercettare i segnali elettrici e tradurli in impulsi da trasmettere, per esempio, a un arto artificiale. Un metodo pericoloso, perché gli elettrodi si deteriorano con il tempo e si va incontro a infezioni. Il team dell’università di Grenoble ha invece “connesso” il cervello dell’uomo appoggiando gli elettrodi contro la membrana esterna del cervello, resistente e a prova di infezione: Thibault è così riuscito a controllare l’esoscheletro, che al momento deve essere sostenuto da tiranti perché è ancora troppo pesante.
Arto fantasma artificiale. Mentre in Francia si studia l’esoscheletro perfetto, dalla Serbia arriva la notizia di un esperimento che ha permesso a tre persone a cui sono state amputate le gambe di tornare a “sentirle”: i loro arti artificiali sono infatti in grado di trasmettere stimoli ai nervi dei moncherini, i quali li passano al cervello, simulando così la presenza di un arto vero. «Dopo tutti questi anni», ha raccontato uno dei pazienti, «ho “sentito” di nuovo le gambe, come se fossero davvero lì.»