I 3.296 casi di coronavirus SarsCoV2 in Italia registrati il 5 marzo, 590 in più rispetto al giorno precedente, segnano l’aumento più consistente rilevato finora, ma ancora una volta i numeri non sono in grado di raccontare in modo realistico la storia di un’infezione che secondo gli esperti richiede ancora tempo e pazienza, mentre si continuano a mettere in atto le contromisure per contenerla. Tra queste, hanno un ruolo di primo piano anche i comportamenti responsabili di ognuno per evitare la diffusione, innanzitutto lavarsi le mani.
“I numeri ci dicono che non stiamo ancora vedendo gli effetti delle misure di contenimento”, ha detto Alessandro Vespignani, direttore del Network Science Institute della Northeastern University di Boston. “Tutti vorremmo vedere che i casi diminuiscono, ma bisogna aspettare ancora un po’ di tempo: le misure di contenimento non hanno mai un effetto immediato e i risultati si vedono nell’arco di settimane. In Cina ce ne sono volute due o tre. Bisogna avere pazienza”.
Anche il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, ha rilevato che i numeri in più registrati il 5 marzo riguardano “molti casi nella zona rossa, che sta ancora sviluppando positività”, che anche “i contatti nella zona rossa possono manifestare infezioni” e che “la mobilità ha portato a focolai in altre regioni”, dove “i contatti a loro volta possono avere generato qualcosa”. E’ quindi “una situazione in evoluzione” e “solo monitorando questa evoluzione si potrà capire come si sta evolvendo”.
Contemporaneamente è fondamentale continuare a spingere sulle misure di contenimento. Al di là della chiusura delle scuole e di altri provvedimenti che investono tutta la società, sono fondamentali i comportamenti che ognuno può mettere in atto per prevenire la diffusione. “E’importante il modo in cui ci comportiamo”: è “un appello importante” perché “nessuno si senta immune dalla possibilità di infezione”, ha detto Brusaferro. Lavare le mani, ha proseguito, “è essenziale, soprattutto se frequentiamo luoghi comuni”, attenzione a “non toccare occhi e bocca, possibili vie d’ingresso del virus” e a “una buona igiene degli spazi“.
Sono queste le regole più efficaci, considerando il fatto che ci si trova ad affrontare un virus mai visto e che probabilmente fino al dicembre 2019 non esisteva nemmeno. Per quanto la ricerca accumuli ogni giorno nuovi risultati e per quanto si mettano in atto tutte le contromisure possibili, si vive necessariamente in una situazione di incertezza: una condizione che per i ricercatori è pane quotidiano, abituati come sono a ragionare per probabilità, mentre per i politici è cruciale dare risposte certe. A proposito della chiusura delle scuole, per esempio, il presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli, ha rilevato che “la questione è definire quale debba essere il contributo di questa misura”, ossia in quale percentuale possa aiutare a contenere la diffusione dei casi.
“I ricercatori vivono quotidianamente fra l’impossibilità e la certezza che qualcosa accada; escludendo entrambi questi estremi, viviamo costantemente nell’incertezza, come quando usciamo di casa consapevoli che possiamo correre rischi”, ha osservato il filosofo della scienza Stefano Moriggi, dell’università di Milano Bicocca. “Forse – ha aggiunto – dovrebbe diffondersi nei cittadini l’idea che viviamo e decidiamo costantemente in condizioni di incertezza“. Questo, ha concluso, “non deve certo significare gettare le persone nello sconforto, ma metterle in condizione di valutare i dati disponibili senza aspettarsi miracoli né scenari apocalittici“.