Quando si parla di open source, di regola si pensa a software o comunque, in generale, a qualcosa che ha a che fare con l’informatica.
In realtà, l’open source è una filosofia – se così lo si può definire – molto più ampia: quello legato allo sviluppo del software è forse l’ambito più conosciuto, ma è un modello che ha molti campi di applicazione.
Uno particolarmente attuale è quello che vede l’utilizzo di risorse “aperte” per studiare e combattere la Covid-19, e si concretizza nell’iniziativa OpenCovid19.
L’obiettivo dichiarato è «Sviluppare e condividere metodologie open source per verificare in maniera sicura la presenza del SARS-CoV-2 usando approcci multipli»
Il progetto è ospitato e sostenuto da Just One Giant Lab, «il primo laboratorio di ricerca distribuito», la cui sede è a Parigi ma si affida per il funzionamento a una piattaforma aperta per consentire a chiunque possa aiutare a risolvere certi problemi di comunicare e condividere le proprie conoscenze.
A questo scopo vengono di proposito utilizzati degli strumenti comuni e ben noti, come Slack, Google Docs e Zoom.
È chiaro che un’iniziativa del genere si rivolge a medici e specialisti, ma l’approccio scelto consente a chiunque, in qualunque parte del mondo si trovi (posto che abbia una connessione a Internet), di apportare il proprio contributo. È questa, in fondo, la base dell’open source.