Il mondo è a corto di microchip, e i primi a pagarne le conseguenze sono le case automobilistiche, che in molti casi hanno dovuto rivedere i loro programmi di produzione per la carenza di componenti: ne parliamo su Focus 349 (novembre 2021). Ma che cos’è un microchip? Quanti tipi ne esistono? E come sono composte al loro interno queste meraviglie della tecnologia, costituite da milioni o miliardi di componenti in uno spazio più piccolo di una moneta da 1 centesimo?
L’intelligenza delle cose. I microchip sono il cervello della società dell’informazione. E sono ovunque: nei computer e negli smartphone, ma anche nei frigoriferi, nei forni, negli impianti di domotica, ce ne sono a centinaia – e in futuro saranno molti di più – anche nelle auto. Sono costituiti da un labirinto di circuiti elettronici scavati in un substrato di silicio con tecniche avanzatissime, che permettono di concentrare in uno spazio molto ridotto strutture che in passato avrebbero occupato stanze intere, o anche di più. L’elemento di base di un chip è il transistor, che a sua volta è costituito da una serie di circuiti: i transistor permettono di elaborare le unità di base dell’informatica – gli “0” e “1” del sistema binario – alla base di ogni testo, foto, audio e video ai quali siamo abituati (a proposito: sapevate che il paracadute del rover marziano Perseverance celava un misterioso messaggio in scritto in codice binario?). Noi vediamo il risultato, e ci dimentichiamo di tutta la tecnologia che c’è dietro.
Unità di calcolo. Di chip ne esistono di molti tipi, a seconda dell’uso che se ne vuole fare. Innanzi tutto ci sono i microprocessori, al cuore di tutti i computer: «Un microprocessore è un’unità di calcolo», spiega Salvatore Levantino, docente di ingegneria elettronica al Politecnico di Milano. «La differenza rispetto ad altre unità è che funziona mediante un set di istruzioni, il “software” (mentre il chip stesso costituisce l’hardware, ndr). È costituito da una sua memoria interna e da una unità logico-matematica che effettua determinate operazioni. C’è anche un blocco che serve a interpretare le nostre istruzioni.»
Telecomunicazioni. Il microprocessore è un caso specifico; ma di microchip ne esistono anche di tanti altri tipi. «Negli smartphone, per esempio, c’è un microprocessore che fa funzionare il sistema operativo alla base di tutto il software», continua Levantino. «Ma c’è anche un altro chip che permette di effettuare le radiocomunicazioni, affinché lo smartphone possa funzionare nella rete cellulare, collegarsi a una rete wi-fi, collegarsi tramite bluetooth agli auricolari wireless e così via. Questi microchip hanno architetture tipiche dei ricetrasmettitori a radiofrequenza, completamente diverse da quelle di un microprocessore.»
In auto, nel forno, nelle telecamere. Ci sono poi le memorie, come quelle che si trovano nelle chiavette Usb. E i microcontrollori: «Hanno capacità di calcolo ed elaborazione, ma permettono anche di controllare alcune periferiche come un touch screen, un collegamento a internet e molto altro (strutture che sarebbero esterne in un microprocessore classico). Si trovano ovunque, negli elettrodomestici, nei programmi di cottura dei forni, nelle auto, nelle centraline di controllo che acquisiscono dati dall’ambiente», afferma l’esperto.
Intelligenza artificiale. Lo sviluppo di nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale, poi, stimola quello di nuovi chip sempre più specializzati. «Consideriamo il riconoscimento delle immagini, che era impensabile fino a qualche anno fa», conclude Levantino: «oggi è possibile grazie a circuiti di struttura completamente diversa, basati sulle cosiddette “reti neurali”. Sono sempre microprocessori, ma con architetture dedicate».