
Lo scorso ottobre DJI aveva portato in tribunale il Dipartimento della Difesa statunitense (DoD), contestando l’etichetta di azienda militare cinese; il verdetto è arrivato, e non è a favore del colosso dei droni. La motivazione del giudice federale Paul Friedman non è incentrata sul merito o meno di questa valutazione, ma sul fatto che il DoD gode di una discrezionalità molto ampia sulla questione. In altre parole: a prescindere dal grado di veridicità, il DoD ha deciso così, e quindi è così.
Il verdetto conferma infatti che non è stato possibile dimostrare che DJI sia “indirettamente controllata dal Partito Comunista Cinese”, come sosteneva il Dipartimento; tuttavia, Friedman ha ritenuto sufficiente il supporto e il riconoscimento da parte del governo di Pechino per definirla un “contributore alla fusione militare-civile”, criterio che basta per applicare la designazione che DJI cerca di eliminare.
Nella sentenza si riconosce che alcune argomentazioni del DoD erano deboli o confuse: per esempio il governo USA ha sbagliato a identificare le zone industriali cinesi dove DJI produce i suoi droni. Tuttavia, il fatto che la Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma della Cina abbia riconosciuto DJI come “centro tecnologico aziendale nazionale”, con accesso a sussidi, agevolazioni fiscali e supporto finanziario, ha pesato nella decisione finale.
DJI aveva provato a sostenere che esistono diverse altre multinazionali straniere con simili benefici in Cina, tra cui Volkswagen e Nokia, che però non sono state classificate allo stesso modo. E qui torna in campo la già citata ampia discrezionalità dell’ente governativo americano: il DoD può scegliere liberamente chi includere e chi escludere, osserva il giudice.
La decisione arriva in un momento delicato per DJI: dal prossimo dicembre entrerà in vigore un blocco totale delle importazioni di nuovi prodotti negli Stati Uniti, mentre gli scaffali di molti rivenditori sono già vuoti a causa di blocchi doganali. È anche stata accusata a più riprese di ignorare o quantomeno aggirare molte regole. In buona sostanza, la società si è ormai essenzialmente tirata fuori dal mercato statunitense – ha smesso già da tempo di lanciare i suoi modelli di punta.
È importante precisare che si tratta di una sentenza in primo grado: DJI potrebbe comunque presentare appello, ma al momento si limita a dichiarare che sta valutando le proprie opzioni e deciderà il da farsi. Parlando con alcuni media americani, la società ha rilasciato la seguente dichiarazione:
Sebbene DJI apprezzi che la Corte abbia accolto la sua richiesta e abbia respinto la maggior parte delle presunte motivazioni del Dipartimento della Difesa per la classificazione di DJI, siamo delusi dal fatto che la Corte abbia comunque confermato la classificazione. Questa decisione si è basata su un’unica argomentazione, che è valida per molte aziende che non sono mai state classificate in questo modo. DJI sta attualmente valutando le sue opzioni legali alla luce di questa decisione.
Il successo di DJI si basa su un’innovazione incessante e il mercato continua a scegliere i nostri prodotti per la loro affidabilità, sicurezza e accessibilità. Restiamo impegnati a servire i nostri clienti e partner statunitensi e chiediamo di essere in grado di competere in modo onesto negli Stati Uniti. Questo è l’approccio che apporta veri benefici all’economia, al settore e, soprattutto, agli operatori che utilizzano le nostre tecnologie per rafforzare le imprese e migliorare la sicurezza pubblica nelle comunità di tutto il Paese.