Tra un mese uscirà il nuovo attesissimo romanzo, The Silence. Nel bel mezzo dell’ossessione del virus, i romanzi dell’autore americano sono un’utile bussola per raccontare le ansie del presente
Fra un mese arriverà in libreria negli Stati Uniti il nuovo romanzo dell’autore di culto Don DeLillo, The Silence. Rinnovatore del postmoderno americano ma anche autore che ha provato vari stili e toni nella sua vastissima produzione, l’ultimo romanzo pare associare il catastrofico – una sorta di collasso del mondo digitale delle comunicazioni – e l’umano, con un gruppo di amici che si ritrovano in un particolare lockdown in città. DeLillo ha scritto il nuovo romanzo prima della pandemia di Covid-19, ma pare andare a raccontare quelle che sono le inquietudini del mondo intero di fronte a una situazione di collasso imminente, che però rimettere in gioco il nostro essere umani.
Non è però la prima volta che l’autore affronta certe tematiche – essendo uno degli autori che fin dai primi libri ha tematizzato la paranoia della società in relazione alla tecnologia, alla dipendenza da sostanze e alle ansie prodotte dal vivere contemporaneo in un mondo iper consumistico.
Sorprenderà forse ricordare che la notorietà mondiale di DeLillo è legata solo alla suo ottavo romanzo, il famoso Rumore bianco. Il romanzo parte da un contesto tipicamente americano Midwest, si sviluppa a partire dalla famiglia complessa del professore hitlerologo Jack Gladney e descrive, detto in sintesi, il profondo terrore della morte della società dei consumi: “La gente va in ferie non per riposare o divertirsi o vedere posti nuovi, ma per sfuggire alla morte insita nelle cose di tutti i giorni”, è una delle celebri citazioni del romanzo.
Avanzando tra le parti del romanzo si amplifica in distopia questa relazione di Jack e di sua moglie Babette e dei suoi figli con la mortalità, in modo totalizzante, al cospetto di un evento catastrofico – una nube tossica che si abbatte sulla città di Jack e sulle vite dei suoi famigliari – che pare enfatizzare la vita già catastroficamente bombardata e infetta di informazioni e di “rumore bianco” che ipnotizza le vite dei personaggi, in un sogno americano etero-diretto divenuto bad trip.
Il romanzo, da familiare a distopico varia quasi alla fine in romanzo crime, con il protagonista che scopre sua moglie alle prese non solo con un affaire fuori dal matrimonio ma con la dipendenza da una droga, il “dylar”, capace di alleviare il terrore della morte stessa, e quindi l’uomo cerca vendetta.
Il suo corpo però ha subito gli effetti della tossina nell’aria e la paura non è che “una forma di autocoscienza”, come si legge nel romanzo stesso. Un’autocoscienza che ti si forma dentro come qualcosa di tossico e immateriale. Solo la morte pare l’Evento reale e concreto ci aspetta.
Il capolavoro di DeLillo è però sicuramente il mastodontico Underworld, una delle vette più alte della letteratura americana. Romanzo brulicante di decine di sottotrame e di personaggi, ha la particolarità e la pretesa riuscita di raccontare storicamente (ma non cronologicamente) molti anni dell’America, dal dopoguerra agli anni Novanta, attraverso l’inseguimento di una mitologica pallina da baseball. La palla che passa di mano in mano nei decenni e nei capitoli, e che permise nel 1951 la celeberrima vittoria dei New York Giants contro i Dodgers.
“Tutti si ricordano dov’erano quando Bobby Thomson fece quel fuoricampo” e quell’evento sembra cambiare il destino di tutta l’America raccontata nel libro più di tante altre cose della sua storia nel Novecento.
Il contesto storico di fondo è la Guerra fredda – dove al prosperare della società consumistica si arriva al massimo del terrore psichico, di nuovo – con la prima parte che immortala anche J. Edgar Hoover informato dei primi esperimenti sovietici sulla bomba nucleare, mentre assiste proprio a quella partita paragonata ad un quadro apocalittico di Bruegel.
Dopo il famoso e folgorante esordio, “Il Trionfo della morte”, il romanzo si arrotola in varie spirali e flashback relative alla vita dell’ultimo uomo entrato in possesso della palla mitologica, Nick Shay, un manager del riciclo di origine italiane (come l’autore).
Seguiamo così Nick avanti e indietro nei suoi anni, nelle sue relazioni, in particolare quella con la moglie Marian, nel confronto con eventi come la famosa Crisi Missilistica di Cuba oppure con personali drammi e errori di gioventù, avanti e indietro tra i deserti dei test atomici americani alla città di New York e il Bronx. Seguiamo lui, la palla, seguiamo ancora una volta il Sogno Americano capitalista che emette radiazioni tossiche.
“Molti neutroni, pochissimi danni alle cose. Il perfetto strumento capitalista. Uccidere la gente, risparmiare la proprietà”, così viene descritta in Underworld la Bomba che incombe sulla vita dei personaggi che come in Rumore bianco confrontano in un certo senso la propria felicità connessa con gli altri in modo terribile e paranoico, dove le vite sono più merci delle merci.
Come sopravvive però questo spirito con l’avvento dei Duemila per De Lillo? Curioso che dopo Underworld l’autore ci offra due brevi romanzi e distanti dal mastodonte.
Il primo è stato Body Art (che in realtà in inglese è Body Artist) e ci troviamo di fronte ad un autore cambiato, che rallenta piuttosto che ingigantire, e si sofferma sulla relazione con la scomparsa del marito di una body artist americana. “Perché mai la morte di una persona amata non dovrebbe portarti a una oscena rovina? Non sai amare le persone che ami fino a quando non scompaiono all’improvviso”, si legge.
Body Art è così una novella sul lutto, sul corpo oggi e sulle relazioni: Lauren è visitata nella sua casa isolata nel Maine da un inquietante revenant nominato Mr. Tuttle subito dopo la morte suicida del marito Rey.
Chi è Mr. Tuttle? Un ologramma, avatar o replica del marito? Perché pare parlare usando frammenti di passate conversazioni. Lauren, mentre studia nuove performance usando il suo corpo, intrattiene una relazione con questa presenza che lascia il lettore a tratti un po’ indeciso sulla realtà dei fatti letti.
Nonostante questa incertezza, DeLillo offre nel libro una potente meditazione di quello che potremmo definire la ricerca di una materialità del lutto, che al dolore per l’assenza porta l’artista a provare e riprovare la stessa sul proprio corpo di performer.
“Ora il sonno lo abbandonava più spesso, non una o due bensì quattro, cinque volte la settimana”. Dalla storia americana e le sue connessioni mondiali, passando per il lutto di una body artist, arriviamo alla vita altrettanto spumeggiante di un abitacolo in movimento per via di un uomo insonne: gli anni 2000 per De Lillo si aprirono anche con Cosmopolis.
Omaggio a Joyce, racconta l’epopea inquieta e caustica in limousine del multimilionario Eric Packer, che proprio nell’aprile del 2000 attraversa lentamente una congestionata New York, per andare a tagliarsi i capelli.
Il romanzo, partendo da questo pretesto innocuo, è l’epopea contemporanea di un tardo-capitalista spregevole, intossicato dal denaro e dai propri investimenti nello yen, che passa tutta la giornata, tra scene grottesche ad altre tragiche, attraversando manifestazioni no global e forse sfuggendo alla minaccia di uomo, chiamato Benno Levin, che lo vuole uccidere.
“I dubbi derivano dalle esperienze passate. Ma il passato sta scomparendo” a favore di un futuro tutto imprevedibile, nel romanzo. Di lì a poco, passando dal 2000 al 2001, la realtà crollerà addosso schiantandosi sulle Torri Gemelle – e quindi non possiamo menzionare il romanzo di De Lillo “legato” (forse però l’autore non sarebbe d’accordo) all’evento dell’11 settembre, L’uomo che cade.
Chiudiamo però questa parziale carrellata – DeLillo è un autore come visto molto prolifico – con il romanzo più recente (del 2016): Zero K, che per molti versi ripercorre e mixa certe tematiche dell’autore, in particolare la tematica della morte e l’influenza della tecnologia e della scienza sulle nostre vite, ritornando anche al complottismo del tutto-pare-convergere-con-tutto.
Convergence è per l’appunto il nome dell’organizzazione segreta e quasi setta d’artisti visionari descritta nel romanzo, una società che attraverso l’innovazione criogenica e l’informatica è in grado di conservare sia il corpo che la coscienza, preservando dalla malattia. Uno dei suoi finanziatori è Ross Lockhart, una magnate della risma di Packer, che decide di offrirsi alla sperimentazione dell’azienda, aiutando la giovane moglie malata del figlio.
Con scene e tematiche che ricordano sia Rumore bianco che Underworld, ma anche altri romanzi che raccontano del sottile confine tra manipolazione scientifica e vera e propria ipnosi sociale, DeLillo aggiorna il suo ragionamento sulla paranoia a suo modo: senza dimenticare cioè del rapporto umano – in questo caso la riscoperta del rapporto tra padre e figlio – in mezzo, si potrebbe dire, alle radiazioni tossiche del vivere oggi.
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