Dormire poco fa male alla memoria: un sonno disturbato e interrotto altera un segnale fondamentale nella formazione dei ricordi a lungo termine, e dunque studiare tutta la notte prima di un esame potrebbe non essere una buona strategia, come dimostra l’esperimento condotto sui ratti e pubblicato sulla rivista Nature. Lo studio, guidato dalla Scuola di Medicina dell’Università del Michigan, indica inoltre che non basta una notte di sonno normale per rimediare al danno, poiché lo schema di attività cerebrale rimane alterato: ciò significa che l’interruzione del sonno potrebbe essere sfruttata per impedire a ricordi traumatici di entrare a far parte della memoria a lungo termine.
I neuroni spesso si attivano insieme secondo uno schema ritmico e ripetitivo: è il caso delle cosiddette ‘increspature delle onde acute’, uno schema di attivazione che si verifica nell’ippocampo, un’area fondamentale per la formazione della memoria e nella quale un primo grande gruppo di neuroni si attiva in sincronia, seguito da un secondo, e così via. Queste onde sono quelle che si verificano anche durante la fase Rem, quella più spesso accompagnata dai sogni e legata al consolidamento dei ricordi. Ricerche precedenti avevano evidenziato che, quando queste onde vengono disturbate, i topi mostrano difficoltà ad eseguire test di memoria, ma i ricercatori coordinati da Kamran Diba hanno analizzato in dettaglio in che modo ciò avviene.
Gli autori dello studio hanno registrato per diverse settimane l’attività dell’ippocampo in sette ratti lasciati liberi di esplorare un labirinto: alcuni sono stati regolarmente disturbati durante il sonno mentre altri hanno potuto dormire a piacimento. Con sorpresa dei ricercatori, gli animali che erano stati svegliati mostravano onde anche più frequenti e numerose degli altri, ma erano deboli e poco organizzate tra loro. Inoltre, anche dopo due notti tranquille, i ratti avevano recuperato lo schema cerebrale di base ma senza riuscire a raggiungere il livello di intensità corretto.
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