Minatori digitali. Il bitcoin è una criptovaluta, cioè una valuta elettronica che viene creata digitalmente attraverso uno specifico software.
Il processo di generazione dei bitcoin prevede la risoluzione di complicatissimi calcoli che richiedono computer molto potenti dotati di processori dalle prestazioni particolarmente elevate. Chi estrae bitcoin utilizza speciali supercomputer, spesso autocostruiti ed equipaggiati con decine di processori che lavorano contemporaneamente con l’obiettivo di generare la valuta digitale. Richiedono sistemi di raffreddamento molto efficienti e avidi di energia, indispensabili per evitare il surriscaldamento delle macchine.
Alta volatilità. Il valore del bitcoin negli ultimi anni ha subito parecchie oscillazioni: dopo una prima impennata alla fine del 2017 che in poche settimane lo fatto passare dai 700 a oltre 15.000 dollari, il bitcoin è rimasto più o meno sopito fino a qualche settimana fa, quando le dichiarazioni di Elon Musk e l’acquisto da parte di Tesla di oltre 1,5 mld di dollari di Bitcoin ne hanno fatto schizzare il valore unitario fino a oltre i 43.000 dollari.
Il rinnovato interessa nei confronti della moneta digitale ha quindi spinto appassionati e semplici curiosi a cimentarsi nell’attività di mining, nella speranza di ottenere facili guadagni in breve tempo.
Valuta ad alto impatto. L’estrazione di bitcoin è però un processo complicato e, si diceva, particolarmente dispendioso da un punto di vista energetico: secondo i ricercatori di Cambridge, infatti, il mining consuma 121,36 terawattora (TWh) di corrente elettrica, cioè quanto l’intera Argentina. Questo significa che, a oggi, la criptovauta è responsabile del consumo dello 0,5% di tutta l’energia elettrica prodotta nel mondo.
Secondo i ricercatori di Cambridge il consumo di corrente elettrica per l’estrazione di bitcoin è destinato ad aumentare fino a quando il prezzo del bitcoin stesso non crollerà nuovamente. E a quel punto, però, sarà da capire se l’attivitià di mining sarà ancora conveniente…