Il reattore sperimentale stellarator Wendelstein 7-X (W7-X) che si trova a Greifswald, in Germania, è stato capace di raggiungere una temperatura pari a 30 milioni di kelvin, il doppio rispetto a quella presente nel nucleo del Sole. Gli scienziati del Princeton Plasma Physics Laboratory (PPPL) e del Max Planck Institute for Plasma Physics, grazie alla complessa rete di bobine magnetiche superconduttive del reattore (la cui mappatura è stata affidata ad un’intelligenza artificiale) sono riusciti ad ottimizzare il flusso di plasma per la generazione di energia.
Impiegati dagli anni ’50 in avanti, i reattori stellarator nascono per riprodurre la fusione nucleare, ovvero quei processi che avvengono all’interno delle stelle (la denominazione è proprio una crasi di “stellar” e “generator“). Per farlo, impiegano potenti campi magnetici atti al confinamento del plasma (gasi ionizzato) all’interno della “ciambella” del reattore. Col tempo, dagli anni ’70 in poi, a questa tipologia di reattore è stata preferita un’altra, quella dei tokamak, una tecnologia superiore ma che conserva dei limiti importanti.
Il Wendelstein 7-X, la cui costruzione è stata ultimata di recente, nel 2015, è attualmente il più grande stellarator esistente, e soprattutto quello che punta a risolvere problemi cruciali che affliggono i suoi predecessori. Il particolare design del Wendelstein 7-X, infatti, come provato dallo studio riduce il noto problema di perdita di calore ed energia causato da un processo che prende il nome di “trasporto neoclassico“. E le temperature registrate sono una prova del fatto che la fuga di calore sia stata contenuta.
In questo modo lo stellarator tedesco è attualmente in grado di ottenere una produzione di energia elettrica continua per 30 minuti consecutivi.
Potete consultare gli esiti completi dello studio, pubblicato su Nature, seguendo il link in FONTE.
L’ENERGIA DELLE STELLE
La scienza fa quindi un altro passo avanti verso la fusione nucleare e il miraggio di una produzione energetica teoricamente illimitata e pulita dopo i progressi registrati a fine agosto in California, dove è stato sfiorato il “Breakeven”, ovvero il pareggio tra l’energia impiegata per innescare la fusione e quella generata poi dalla fusione medesima.
La fusione nucleare è il processo che sta alla base della vita delle stelle, che sono di fatto enormi reattori naturale, ed è una reazione che vede i nuclei di due o più atomi fondersi per formare il nucleo di un elemento chimico più pesante. Sul Sole ha continuamente luogo la fusione di quattro nuclei di idrogeno (e cioè quattro protoni) in un nucleo di elio: un’esplosione atomica senza sosta che produce energia e al contempo ne impedisce il collasso gravitazionale.
Il problema è che per ricreare questo fenomeno occorre che i nuclei siano vicinissimi, e per vincere la repulsione elettromagnetica che porta protone e protone a respingersi, e costringerli a fondersi, serve un quantitativo di energia enorme. Dunque occorre trovare il mondo di creare un sistema che funzioni, e che consenta di ricavare da questo processo più energia rispetto a quella impiegata per innescarlo.