Che Google e le altre grandi aziende della Rete possano sapere quando concludiamo un acquisto online, non dovrebbe essere una novità. Lo abbiamo spiegato qui diverso tempo fa. Ciò che fino a qualche settimana fa non sapevamo è che Big G ora riesce a sapere anche quando compriamo qualcosa in un negozio fisico.
Dimmi dove compri. La nuova funzionalità è stata presentata agli investitori pubblicitari lo scorso maggio: uno strumento chiamato “store sales measurement” consente alle aziende che acquistano pubblicità sul network di Google di sapere quando un utente che ha visto un banner perfeziona l’acquisto in un punto di vendita fisico.
Si tratta di un’informazione importante, perché permette ai clienti di Google di misurare l’efficacia della loro comunicazione non solo online, ma anche offline. Ma come fa l’occhio di Google a seguirci anche al di fuori della Rete? Lo ha spiegato Bloomberg in un articolo pubblicato la scorsa settimana.
Case di carta (di credito). Secondo quanto riportato, Google avrebbe acquistato da Mastercard, uno dei principali gestori al mondo di carte di credito, i dati relativi alle transazioni di milioni di utenti in tutto il mondo.
In questo modo la grande G, che conosce con estrema precisione su quali banner clicchiamo e quando, può anche sapere se abbiamo comprato in negozio quel prodotto al quale ci siamo interessati online.
Bloomberg sottolinea come Mastercard abbia ceduto questi dati, il cui valore è stimato in milioni di dollari, senza chiedere il consenso ai propri clienti. Potevano farlo?
Anonomi, ma non troppo. Secondo i due colossi sì, perché i dati sono criptati e trattati in maniera anonima. Nessuna delle due parti è quindi in grado di accedere ad informazioni che permettano di identificare le singole persone. Google ricorda inoltre come gli utenti possono in ogni momento modificare le impostazioni delle app e dei servizi in modo da non condividere con l’azienda nessun tipo di informazione legata alla pubblicità.
«Le aziende si stanno spingendo troppo oltre», afferma Christine Bannan dell’Electronic Privacy Information Center. «Le persone non si aspettano che ciò che comprano in un negozio fisico possa essere collegato a ciò che fanno online. Le aziende non informano a sufficienza gli utenti e non li informano su come vengono utilizzati i loro dati e che diritti hanno».