Passa oggi Fuori concorso il documentario Greta, girato da chi è stato accanto alla giovane attivista dal primissimo giorno fino al discorso all’ONU. Ma lei è a scuola e in un buco tra una lezione e l’altra, via Zoom, ribadisce che “non dovremmo essere noi ragazzi a fare tutto, ma gli adulti e le persone di potere che hanno causato il problema”
Greta Thunberg non può essere a Venezia in persona, perché ha ricominciato la scuola (in Svezia partono a fine agosto); non fa interviste, ma presenzia alla conferenza stampa via Zoom. Durante la ricreazione. La Mostra del Cinema si è adattata e ha fatto il programma delle altre conferenze intorno al fatto che Greta, alle 12, ha un buco tra le lezioni. E non bisogna tardare. Invece un po’ si tarda, tanto che prima della fine dovrà staccare il collegamento: “Stanno per iniziare le lezioni”, e c’è poco da ribattere. La Associated Press e tutte le altre testate presenti se ne facciano una ragione.
Live dalla sala professori (dietro di lei l’armadietto trasparente con registri e libri di testo, ogni tanto la mano di un docente che sistema il computer), Greta risponde alle domande sul documentario che la riguarda e che qui a Venezia è Fuori concorso, intitolato Greta. L’ha girato Nathan Grossman (che invece è presente di persona), l’uomo giusto al momento giusto nel posto giusto. Il documentario, infatti, si apre con le riprese fatte da Nathan nei primissimi giorni di protesta solitaria di Greta, quelli dello sciopero scolastico: “Amici della sua famiglia mi avevano detto che avrebbe fatto questo sciopero e pensai di andarla a riprendere per un paio di giorni, come forma di ricerca sull’argomento, magari per un corto”. Così inizia la collaborazione e, quando il movimento stimolato da Greta esplode, Grossman è lì con lei ovunque. Da Emmanuel Macron, dal Papa, alle conferenze, in barca a vela verso gli Stati Uniti e all’ONU, dove il documentario finisce la cronaca di questo anno incredibile in cui è nato il movimento mondiale giovanile di protesta per il cambiamento climatico.
Greta, come sempre impressionante per la maniera in cui è in grado di rispondere a qualsiasi domanda con precisione e semplicità, economia di parole e pregnanza (qualcosa che qui a Venezia non vediamo nemmeno con gli attori più importanti), la vedeva in modo anche più semplice: “Non mi disturbava mai, non faceva rumore, e per questo ho lasciato che mi riprendesse. Nessuno mi ha mai detto: ‘Vuoi che qualcuno faccia un film su di te?’, ma l’opposto, Nathan era uno che mi seguiva e poi è diventato di più. Penso che in questo lavoro si veda come spesso i media cerchino di dipingere un individuo (me) in una storia più grande. Il centro qui, però, non sono io ma tutti, un punto di vista olistico, e credo che emerga”. Inizialmente il film a Greta non sembrava una buona idea: “Faceva tutto Nathan, non aveva nemmeno qualcuno che curasse il sonoro, devo dire che quando il movimento è aumentato ed è diventata una cosa grossa, e il lavoro di conseguenza, ho temuto che non fosse poi così professionale”. E ride. Che è una costante del documentario, esattamente quello che non vediamo mai nelle immagini che ci vengono filtrate dai notiziari.
Il documentario mostra anche che cosa accade prima e dopo gli incontri che conosciamo: assistiamo a Greta che parla in modo informale con Macron (conversazione un po’ imbarazzata a dire il vero), al controcampo di alcuni famosi discorsi con i politici che tengono la stessa faccia di quando baciano bambini in piazza. Assistiamo al seguito di momenti molto noti, come quando l’allora Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, dopo le accuse di Greta ai politici, ha preso la parola per dire che in effetti “unificare e standardizzare il sistema di scarico delle toilette di tutta Europa potrebbe portare a un importante risparmio energetico”, e Greta si è levate proprio le cuffie in segno di protesta per la stupidaggine appena ascoltata.
Come dice nel documentario e ripete dal vivo: “Questa è una responsabilità eccessiva per i ragazzi, non dovremmo essere noi a fare tutto ma gli adulti e le persone di potere che hanno causato il problema”. Ovviamente, il fuoco della protesta rimane la politica e in questo Greta ha una chiara concezione del proprio ruolo: “Quello che ci serve è la ricerca sicuramente, ma più che altro è l’azione politica a essere cruciale. E, forse, è in quell’ambito di pressione e protesta che io posso essere più utile”.
“La cosa più importante che ho scoperto su Greta è quanto sia divertente”, racconta Grossman, spiegando la parte notevole del documentario in cui costruisce la sua figura enfatizzando due dettagli: l’importanza della Sindrome di Asperger nella determinazione e nella chiarezza che manifesta, e il suo lato di bambina, le debolezze, il rapporto con il padre con cui viaggia, i timori e le difficoltà: “Spero che tutti quelli che dicono che c’è qualcuno che mi manovra e mi scrive i discorsi vedano dal film che non è così”.
Nonostante, come promesso, dopo l’anno sabbatico sia tornata a scuola, Greta non ha cambiato punto di vista, del resto perché dovrebbe? “Da quando Nathan ha cominciato a seguirmi e da quando ha smesso di seguirmi, non abbiamo iniziato a trattare la crisi come dovremmo, cioè non la trattiamo come una crisi di fatto, non abbiamo alcun senso di allarme, che poi è quel che dovremmo sentire per iniziare a risolverla”. E sul fatto che il Covid-19 abbia oscurato la questione dei cambiamenti climatici, sia Greta sia il regista hanno un’idea chiara: “Con il coronavirus non sappiamo che cosa possa accadere, ma la crisi climatica non se ne va”, dice Nathan Grossman. “Anche se non so come evolverà il movimento nel futuro, sono sicuro che i giovani saranno molti arrabbiati quando il Covid sarà passato. Purtroppo, sembra che l’umanità non sappia gestire due crisi in contemporanea, che è triste perché non abbiamo così tanto tempo”. Mentre per Greta, come sempre, la questione è molto diretta e semplice da esprimere (e lo dice prima di lasciarci per la quinta ora): “Penso che dobbiamo continuare a diffondere la consapevolezza di quello che sta accadendo”.
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