Nuove informazioni sulla storia del misterioso “uccello elefante”, che andò incontro a estinzione circa mille anni fa, quando i primi gruppi umani arrivarono in Madagascar, arrivano dai suoi gusci d’uovo, grazie a uno studio internazionale pubblicato su Nature, a cui ha partecipato l’Università di Torino. I rari resti scheletrici dell’uccello elefante non consentono infatti di determinare con certezza il numero di specie una volta esistite, né tantomeno la loro distribuzione geografica, ma le biomolecole preservate in frammenti di guscio d’uovo datati a circa seimila anni fa hanno ora potuto migliorare la conoscenza dell’evoluzione e biodiversità dell’uccello elefante.
L’uccello elefante (vorompatra in malgascio) era enorme, con esemplari alti fino a tre metri, non era in grado di volare, e rappresenta uno dei più affascinanti misteri della storia delle interazioni tra la specie umana e animale – anche perché il suo parente più prossimo è il kiwi, l’uccello simbolo della Nuova Zelanda. Tradizionalmente il nome si attribuisce agli scritti di Marco Polo, e l’uccello elefante potrebbe essere correlato alla genesi di diversi miti di area mediorientale.
Non potendo pienamente ricostruire la storia evolutiva su base morfologica, un gruppo internazionale ha effettuato analisi paleomolecolari (genetiche e proteomiche, ovvero per individuare il sistema di proteine, ndr) e geochimiche su 960 frammenti di guscio d’uovo provenienti da 291 località in Madagascar. Lo studio ha confermato la separazione tra due famiglie, Aepyornis e Mullerornis, con morfologie e dimensioni diverse, e ha evidenziato una sorprendente variabilità genetica esistente tra gli uccelli elefante del Madagascar settentrionale, suggerendo l’esistenza di una nuova linea evolutiva.