Diventa un sensore sismico e per gli tsunami il cavo sottomarino in fibra ottica ‘Curie’ di Google, che collega la California al Cile. Lo dimostra lo studio pubblicato sulla rivista Science dal California Institute of Technology (Caltech) e dalla stessa azienda di Mountain View. Fra gli autori l’italiano Antonio Mecozzi, dell’Università de L’Aquila.
Inaugurato nel novembre 2019 e lungo circa 10.000 chilometri, il cavo Curie collega la città californiana di Los Angeles a quella cilena di Valparaiso. Si trova tra 4 e 6 chilometri di profondità, ha un diametro di circa 2 centimetri e contiene 4 fibre ottiche del diametro di pochi decimi di millimetro l’una.
Schema della struttura del cavo sottomarino di Google, ‘Curie’ (fonte: Google Cloud Platform)
I cavi sottomarini in fibra ottica, spina dorsale di Internet, sono sensibili alle variazioni di temperatura e alla pressione esercitata dalle onde. Monitorando la trasmissione dei dati è quindi, possibile associare eventuali variazioni termiche o di pressione a un evento esterno, dovuto ad esempio all’attività sismica nei fondali oceanici o al moto ondoso in superficie.
“La tecnica si basa sul fatto che i terremoti e la pressione delle onde marine inducono entrambi una differenza di cammino della luce nella fibra ottica di meno di un decimillesimo di millimetro – osserva Mecozzi – e sull’accurata misura di questa minuscola differenza alla fine del viaggio che la luce compie nella fibra”.
Adottando questa strategia, che non richiede la costruzione di nuove infrastrutture o strumentazioni scientifiche, nel corso di un’attività di monitoraggio durata nove mesi sul cavo Curie è stato possibile registrare una trentina di maremoti e circa venti scosse sismiche, come quella che ha colpito il Messico nel giugno 2020. In prospettiva, precisano gli esperti, la rete in fibra ottica degli oceani in cui viaggia gran parte dei dati del pianeta, può diventare un utile sistema di monitoraggio e rilevamento continuo e in tempo reale di terremoti e tsunami marini.
“L’importanza potenziale di questa ricerca è enorme”, rileva Mecozzi. “A parte la ricaduta sociale dovuta alla possibile organizzazione di un sistema di allerta per gli tsunami, dal punto di vista di un ricercatore è eccitante – prosegue – avere accesso a dati dalle profondità dell’oceanoi. Si tratta infatti di regioni della Terra ancora in gran parte inesplorate, quasi quanto la superficie di Marte, e che potrebbero svelare molto sulla fisica del nostro Pianeta”.