Beirut nel caos dopo le esplosioni ci ricorda di un passato recente solo apparentemente sopito: la complessità del Medio Oriente e la sua bellezza. Come quella descritta nei libri di amore, morte e scoperta del premio Goncourt
(foto: Wikimedia Commons)
L’egemonia del coronavirus su tutti i giornali e media è stata interrotta purtroppo da una news se possibile anche peggiore, il tragico evento che ha colpito Beirut e il Libano, già messo in crisi dal virus. E chi meglio dello scrittore francese Mathias Énard potrebbe raccontarci quelle zone battute e bellissime? Al di là dell’immane esplosione al porto che è rimbalzata davanti a noi spettatori lontani, il paese mediorientale rivive l’incubo della guerra civile e di conflitti mai sopiti, al confine da un lato con la martoriata Siria e con il complesso Israele. Il Medio Oriente è una di quelle zone di elezione del narratore francese, che nei suoi libri di guerra, amore e tanta cultura libraria, ritrae il Mediterraneo come crocevia molteplice: di libri, autori, miti e umanità spietata.
Di ritorno in libreria nel 2021 per E/O con il nuovo romanzo Il banchetto annuale della confraternita dei becchini, concentrato su di una luculliana Francia rurale e l’esperienza di ritorno in campagna nel XXI secolo di un etnologo, il suo recentemente tradotto (benché suo primo romanzo) La perfezione del tiro (Edizioni E/O) racconta proprio quella che potrebbe essere individuata come la guerra civile in Libano a Beirut, tenendola però innominata sullo sfondo di un’esperienza singola.
Lo fa infatti attraverso il diario di guerra di un giovane cecchino innominato, ossessionato dalla perfezione della sua arte macabra (“il fucile deve diventare una parte di te, un tuo prolungamento. La cosa più importante non è il bersaglio, sei tu”) un personaggio arrogante, alle prese con una mamma inferma di mente e invaghitosi della minorenne orfana Myrna, chiamata ad assistere proprio la madre.
Questo è un romanzo di precisione, anche stilistica, ma anche di allucinata sfocatura mentale, capace di raccontare la follia di una guerra civile in cui si perdono le coordinate (“La guerra era dappertutto e qualcuno doveva pur farla”) e il nemico è solo un bersaglio qualsiasi, senza una vera e propria identità alle spalle.
Il cecchino è un fascio di logicità astrusa e emozioni, e si esprime spesso con una violenza mai pari a quella del sadico amico Zak, che non gli permetterà di far maturare il rapporto amoroso al limite della pedofilia con Myrna stessa, ad allegoria di quella terra di passioni e violenza che è il Medio Oriente stesso, tra continui tentativi di ricerca di normalità (Myrna) e profonda brutalità (Zak). Un percorso di formazione deformante come quello percorso verso Occidente dal giovane marocchino Lakhdar in Via dei ladri (Rizzoli).
Di amore e violenza mediterranea tratta anche uno dei più importanti libri di Énard: Bussola (E/O), vincitore del prestigioso Prix Goncourt. Il romanzo è una circumnavigazione mentale e fisica di uomo malato e insonne, Franz Ritter, un musicologo esperto di orientalismo che dal suo rifugio viennese riannoda non solo l’amore per l’etnoantropologa Sarah ma anche di decine di uomini e donne per l’Oriente, i suo mille risvolti, tra la Persia, la Turchia, la Siria e le loro rigogliose capitali, moschee, rovine.
Il libro si costruisce così, attraverso il rapporto tra Franz e Sarah, come l’esplorazione da Mille e una Notte di vite di “orientalisti”, intellettuali, esperti d’arte e di musica, ma anche compositori (Lady Stanhope, Annemarie Schwarzenbach e Marga d’Andurain, e pure i corteggiamenti intellettuali di Goethe verso l’Oriente) che hanno amato, abitato e che hanno anche rischiato o perso la vita dopo essere rimasti invischiati nel mito di un Oriente terra di grande innovazione, non solo musicale, ma oggi segnato da un altro virus, quello terroristico.
Ecco perché tra le pagine più toccanti, che fluttuano da una vita all’altra come lo sbuffo di nuvole d’oppio che aprono le prime pagine, ci sono quelle dei due protagonisti che si accampano nella Palmira che sappiamo di lì a poco saccheggiata dai terroristi, in un Oriente che come Istanbul è “come una fine o un inizio, come un ponte o una frontiera” difficile da tracciare rispetto all’Europa.
“Oriente e Occidente non appaiono mai separatamente, e sono sempre fusi, presenti uno nell’altro”, scrive d’altronde ancora Énard, così come la storia del terrorismo è tanto occidentale quanto orientale, a che fare con le nostre società che si confinano e collassano l’una sull’altra, disinnamorandosi.
Del rapporto ammaliante, che ha il sapore del sogno erotico tra Oriente e Occidente in una notte insonne, aveva però già scritto nel romanzo Parlami di battaglie, di re e di elefanti (Rizzoli). Qui l’autore si immagina Michelangelo, in rotta con il Papa di Roma, e invitato alla corte del sultano Bajazet ad Istanbul, per andare a compiere il fallito progetto del suo “rivale” Leonardo: costruire quella che oggi si chiamerebbe una Grande Opera, cioè un ponte magnifico sul Bosforo.
Siamo nel 1506 e il Buonarroti arriva a Costantinopoli, in cerca di una gloria più grande rispetto a quella del solo mondo rinascimentale italiano. Rimane subito ammaliato, accompagnato e anche viziato dai personaggi che lo traghettano nella vita di corte e città, come il poeta Mesihi (con il quale intratterrà un triangolo omoretico assieme ad una danzatrice androgina) o lo schiavo Falachi.
La bellezza struggente e spesso devastata dell’Oriente è di nuovo confronto con le ansie e le paure dell’Occidente incarnato da Michelangelo, come si legge ad incipit del romanzo stesso: “Credi di desiderare la mia bellezza, la mia pelle delicata, il fulgore del mio sorriso, le mie ossa sottili, il carminio delle mie labbra, ma in realtà senza saperlo desideri soltanto che svaniscano le tue paure, desideri la guarigione, l’unione, il ritorno, l’oblio”.
Di Medio Oriente e in genere di quel Mediterraneo campo di battaglia, sterminio e guerra che va dai Balcani all’Africa e viceversa, Énard aveva anche raccontato forse il suo libro più bello e ostico, Zona.
Francis Mirkovic, il narratore croato-francese, e chissà legato in qualche modo al Franz di Bussola anche solo per omonimia, è a differenza del musicologo, un enigmatico protagonista-eminenza grigia di moltissimi anni di storia del Mediterraneo: membro dei servizi segreti, spia in Medio Oriente, trafficante d’armi, mercenario in Bosnia e Croazia, viaggia in treno da Milano a Roma con una valigia piena di segreti inconfessabile da consegnare ad un agente del Vaticano.
In una selva di digressioni e connessioni solo all’apparenza gratuite, il suo flusso di coscienza, in 24 “canti” tanti quanto quelli dell’Iliade, segue come in un romanzo storico esploso le tappe del suo viaggio psichico in treno.
Racconta genocidi armeni, guerre civili spagnole, personaggi scomodi e nazionalismi brutali, in quel misto di morte, orgoglio e passione che pare caratterizza la storia di quell’Europa al confine con l’Oriente descritta anche qui dal narratore francese. La voce narrante, corrotta da un mix di droga e alcool, svela il dossier mentre nella realtà sta compiendo un viaggio per liberarsi definitivamente di quei fantasmi che raccontano la Zona, quel territorio che da Barcellona arriva fino a Beirut e abbraccia culture e la stessa formazione e vita di Énard.
Il fine ultimo del viaggio è quello però di incontrare una donna, svelando ancora una volta la trama erotica dei romanzi del francese, presente anche in un altro dei suoi “viaggi”, L’alcol e la nostalgia (sempre E/O) che racconta l’amore complesso tra l’Europa e la Russia attraverso un viaggio in treno in Siberia intrapreso da Mathias per dare giusta sepoltura all’amico Vladimir.
In conclusione, un suggerimento di lettura ulteriore, perché l’autore non è solo romanziere, ma anche ottimo poeta: In Italia, per il progetto editoriale originalissimo chiamato Nervi, è uscito in copie limitate Schegge di Polonia, tratto dal libro di poesie dal titolo ammaliante: Ultimo discorso alla società proustiana di Barcellona, raccolta anch’essa che vaga nelle zone dell’autore, che uscirà in autunno ancora una volta per E/O.
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