Doveva rivoluzionare la mobilità personale, ma non ha mai avuto il successo sperato.
Prima ancora di venire presentato ufficialmente, quand’era noto come Ginger, aveva fatto parlare di sé suscitando enormi aspettative, tanto da far parlare di un’imminente rivoluzione nella mobilità individuale.
Poi, nel 2001, arrivò sul mercato con il probabilmente meno felice nome di Segway, ma il successo non fu pari alle attese.
A frenarne la diffusione furono diversi fattori, tra cui il prezzo alto (sui 5.000 euro) e i pericoli derivanti dai problemi di stabilità: nei primi modelli, quando la batteria era quasi scarica il giroscopio non faceva più il suo dovere e il proprietario rischiava di cadere.
Ci furono anche alcuni incidenti, alcuni buffi (un cameraman in Segway travolse Usain Bolt dopo che questi aveva appena vinto una gara) e altri tragici, come la morte del proprietario dell’azienda allora produttrice dei Segway, Jimi Heselden, precipitato in un dirupo proprio mentre era in giro a bordo di uno dei mezzi da lui prodotti.
Così, il prossimo 15 luglio Ninebot, l’azienda che dal 2015 produce e vende i Segway, cesserà la produzione: dopotutto, si tratta di un prodotto che genera appena l’1,5% del fatturato.
Nei 19 anni di vita del Segway sono stati complessivamente venduti circa 140.000 esemplari, ed è molto difficile che tale numero aumenti in maniera significativa da oggi al 15 luglio: decisamente pochi per un mezzo che doveva essere rivoluzionario.
Ninebot, dal canto proprio, sostiene che l’eredità del Segway resta comunque preziosa: altri mezzi per la mobilità personale, come il monopattino elettrico Ninebot S e il prototipo S-Pod (presentato all’ultimo Ces) cercheranno di far sopravvivere la nicchia.