Il giorno di Natale, alle 13:20 ora italiana, è stato lanciato il James Webb Space Telescope, il telescopio spaziale più grande e potente mai realizzato: punta a farci conoscere meglio le origini dell’Universo, e non solo.
Partito dalla Guyana Francese su un razzo Ariane 5, ha intrapreso un viaggio di milioni di chilometri per raggiungere il punto da cui osserverà il cosmo come mai prima. Si tratta di una missione davvero ambiziosa, con una storia degna di nota: ecco qui cinque curiosità che ne fanno un progetto da tenere d’occhio.
INDICE
1. UN PROGETTO RISALENTE AGLI ANNI ’90
Il telescopio Hubble, antenato di Webb
Innanzitutto, il progetto è parecchio datato: l’idea di spedire nello spazio un telescopio così grande ha iniziato a circolare tra astronomi e NASA negli anni Novanta, poco tempo dopo il lancio del telescopio Hubble che in circa trent’anni di servizio ha contribuito a diverse osservazioni e scoperte su stelle, galassie, nebulose e buchi neri; qui una galleria che racconta il 2021 attraverso i suoi scatti.
L’acquisizione più importante, da questo punto di vista, è stata la consapevolezza che fosse possibile costruire un osservatorio in orbita, col vantaggio di poter così eludere le distorsioni causate dall’atmosfera terrestre che spesso interferiscono con le osservazioni dei telescopi sulla Terra; com’è noto, la situazione è andata peggiorando negli ultimi anni, con una quantità sempre maggiore di satelliti e detriti spaziali in orbita intorno al nostro pianeta e il conseguente rischio per la sicurezza degli astronauti sulla ISS.
Da qui nasce l’idea di uno dei progetti più difficili, travagliati e costosi della storia recente della NASA, portato avanti in collaborazione con l’agenzia spaziale europea e quella canadese.
2. UNO SPECCHIO DORATO DA RECORD
La seconda particolarità è che tutto ruota attorno a uno specchio molto grande che si dispiega come un origami dorato. Ha un diametro di 6,5 metri, raccoglie la luce e la indirizza verso i sensori del telescopio. È così grande – anche rispetto a quello di 2,4 metri di diametro di Hubble – che non è stato possibile mandarlo in orbita già aperto, perché sarebbe stato troppo ingombrante per qualsiasi razzo. Di qui la necessità di ricorrere a sistemi inediti che hanno fatto lievitare tempi e costi di realizzazione.
Effettivamente è anche abbastanza scenico, formato da diciotto esagoni rivestiti da una sottilissima lamina d’oro per poter riflettere al meglio l’infrarosso. Il corpo centrale dello specchio è composto da 12 esagoni, mentre altri sei (tre per lato) sono ripiegati in modo da occupare meno spazio e si apriranno una volta in orbita. Di fronte a questi c’è uno specchio secondario che raccoglie la luce proveniente dagli esagoni, anch’esso viaggia ripiegato e si aprirà grazie ad alcuni lunghi supporti che lo faranno rimanere sospeso davanti allo specchio principale a una distanza di 7,4 metri.
Durante la traversata verso la meta c’è la fase che terrà col fiato sospeso scienziati e ingegneri, perché dopo il rilascio si apriranno prima i pannelli solari e poi sboccerà come un origami lo specchio completo, e infine lo scudo. In tutto circa un centinaio di movimenti da eseguire con precisione millimetrica, una coreografia mai tentata prima nello spazio e che tuttavia è cruciale per la riuscita della missione.
Nel momento in cui si scrive, alcuni di questi dispiegamenti sono già avvenuti: mezz’ora dopo il lancio si è aperto il pannello solare, permettendo al telescopio di passare dall’alimentazione a batterie a quella fotovoltaica, e qualche ora dopo è stato posizionato anche l’insieme che comprende l’antenna a banda larga che, puntata verso il nostro pianeta, trasmetterà almeno 28,6 GB di dati scientifici due volte al giorno quando la missione sarà pienamente operativa.
3. UNO SCUDO TERMICO GRANDE COME UN CAMPO DA TENNIS
Per catturare tutti questi infrarossi, il telescopio dovrà rifugiarsi al freddo e al buio, motivo per cui volterà le spalle a tutti noi inquadrando solo lo spazio profondo. Dovrà proteggersi dal calore del Sole e dalla luce riflessa della Terra e della Luna, e quindi ha uno scudo termico grande quanto un campo da tennis.
È composto da sottilissimi strati di Kapton, un materiale molto resistente che viene di solito usato per lo strato esterno delle tute spaziali, con l’obiettivo di dissipare il calore e riflettere la luce solare, lasciando gli specchi a una temperatura media intorno ai -230°C.
Anche lo scudo termico dovrà aprirsi ed è stato uno degli elementi più complessi da realizzare, anche perché basta veramente poco per danneggiarlo. Nel 2018 ad esempio un test andò storto e parte del Kapton si impigliò in un altro elemento del veicolo iniziando così a tagliarsi.
4. RINVII E COSTI ESORBITANTI
La missione è stata rimandata tantissime volte, cosa che ne ha fatto lievitare il costo fino a dieci miliardi di dollari. All’inizio si stimava di veder volare il telescopio Webb già nel 2007, poi i rinvii e il budget in crescendo hanno spostato progressivamente avanti l’appuntamento con la storia.
I ritardi si sono accumulati fino al punto in cui il Congresso degli Stati Uniti, che eroga i finanziamenti per la NASA, aveva iniziato a valutare la possibilità di bloccare il progetto, che ormai però era in fase così avanzata che alla fine si è deciso di proseguire.
Di rinvio in rinvio, di problema in soluzione, non ultime le condizioni meteorologiche avverse della vigilia, si è arrivati al lancio il giorno di Natale, ma le complessità non sono mancate in ogni passaggio. Anche arrivare alla base di lancio per esempio è stato impegnativo, visto che la nave cargo ha dovuto superare dei test in mare con gli accelerometri calcolando onde alte fino a quattro metri, e avrebbe pure spento i transponder, una misura di sicurezza estrema per evitare il rischio pirati.
5. BUONA LA PRIMA
Il telescopio James Webb viaggerà per alcune settimane fino a raggiungere la sua orbita, che lo porterà a trovarsi a quasi 1,5 milioni di chilometri dalla Terra nei periodi di massima distanza. A differenza di Hubble non stazionerà in orbita terrestre bassa, ma in una posizione strategica, il punto di Lagrange L2, quattro volte più lontano della Luna. Da qui, dopo qualche mese di test necessari a tarare tutte le strumentazioni, potrà effettuare le proprie osservazioni.
I suoi obiettivi sono molteplici: innanzitutto cercherà di svelare com’era l’Universo appena nato e come si è evoluto. Hubble ci aveva mostrato un oggetto distante 13,5 miliardi di anni luce, ma Webb arriverà ancora più lontano, tentando di catturare col suo grande specchio la luce delle prime galassie, forse addirittura delle prime stelle che si sono accese dopo il Big Bang.
Oltre a questo, servirà a determinare più precisamente la velocità a cui si sta espandendo l’Universo e anche per andare a caccia di esopianeti, ovvero pianeti esterni al nostro sistema solare. Negli ultimi anni ne sono stati scovati parecchi, e con il JWST sarà possibile analizzarne alcuni per risalire alla composizione della loro atmosfera e all’eventuale presenza di elementi che sulla Terra sono associati alla vita.
Se parliamo di strumentazione, il dispositivo primario di acquisizione delle immagini è la Nircam (Near infrared camera), studiata per poter vedere attraverso le spesse polveri che nascondono nuovi astri che stanno nascendo e osservare pianeti che orbitano attorno ad altre stelle; lavora in accoppiata con il Niriss (Near InfraRed Imager and Slitless Spectrograph), volto a caratterizzare i pianeti extrasolari, descrivendoli e analizzandone l’atmosfera. A bordo anche i due spettrometri Nirspec e Miri.
PROSPETTIVE
Se tutto andrà liscio, il James Webb space telescope compirà osservazioni per almeno cinque anni, anche se si spera di poterlo usare per dieci anni. D’altronde non è detto: la NASA stimava che Hubble avrebbe operato per 15 anni, una previsione che è stata ampiamente superata.
A differenza di Hubble, che astronomicamente si trova molto più vicino alla Terra e infatti è stato aggiustato varie volte, il telescopio Webb sarà molto distante dal nostro pianeta e quindi non potrà contare su alcuna forma di manutenzione. Sarà solo soletto a 1,5 milioni di chilometri da noi (a proposito, se volete controllare la sua posizione attuale c’è un link apposito “where is Webb?” in Via) e la durata della missione dipenderà anche dalla disponibilità di propellente che gli servirà per correggere la sua orbita.
Se tutto va nel migliore dei modi potrebbe durare anche decine di anni, chissà, ma in ogni caso pare sia già stato previsto un piano b sotto forma di maniglia: se al momento la distanza è veramente parecchia da coprire per un essere umano, non è detto che tra dieci o quindici anni qualcuno non progetti un robot in grado di raggiungere il telescopio, afferrarlo e controllarlo, se per qualche motivo ci dovessero essere dei problemi ai sistemi di bordo.
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