Poca informazione, non aggiornata e difficile da trovare, ecco il quadro delle fonti ufficiali sui focolai. Le istituzioni dovrebbero imparare a sfruttare meglio i canali comunicativi
Il comune di Casalpusterlengo (foto: Getty Images)
Informazione ufficiale, tempestiva, corretta, trasparente e verificata. È questo uno degli antidoti per evitare che i cittadini non vengano presi da paure (più o meno immotivate, ma sicuramente comprensibili) su una malattia che spaventa come quella causata dal nuovo coronavirus. Informazione costante, facilmente reperibile, affidabile, chiara e semplice da comprendere. Comunicazione significa presidiare un territorio: essere presenti e rispondere alle necessità informative. È la regola numero uno: se qualcuno ha bisogno di te, deve riuscire a trovarti subito. È così che si instaura un legame di fiducia.
Ecco, ora provate a cercare “coronavirus Italia” su uno dei motori di ricerca più usati al mondo, Google. Mentre scriviamo, il primo sito istituzionale si trova nella seconda pagina dei risultati di ricerca (in modalità anonima, per gli esperti), al 17esimo posto. Quindi non ci arriverà praticamente nessuno. È il sito Epicentro, il portale dell’Istituto superiore di sanità dedicato alle malattie infettive, con una Faq di domande e risposte frequenti sul virus. Prima di Epicentro, un affollamento di testate giornalistiche e di titoli dell’ultimo minuto: “Coronavirus: crescono i contagi al Nord“, “Coronavirus in Italia: oltre 100 infettati, in Lombardia sono 89…“, “Coronavirus: 79 contagiati in tutta Italia“. Già leggendo i primi titoli, sorgono dubbi: quanti sono i casi in Italia? Seguendo la frenesia di pubblicare le notizie il prima possibile, i giornali ovviamente cercano di star dietro alla minima variazione nel numero di persone positive al nuovo coronavirus e usarla come notizia. E alcune volte i conti non tornano: tra dichiarazioni dei presidenti di Regione, conferenze stampa e via dicendo, sommando le varie fonti, i numeri totali spesso non corrispondono (rendendo difficile anche il lavoro di monitoraggio indipendente).
È proprio per questo che forse nella giornata del 22 febbraio sul sito dell’Istituto superiore di sanità si avverte che il numero di casi ufficiali confermati di persone positive al virus Sars-Cov-2 sarà comunicato dal ministero della Salute (solamente dopo aver ripetuto una seconda volta il test, per evitare errori). Ebbene, dove? Sul sito del ministero, nella pagina dedicata, non c’è traccia di queste cifre, ma campeggia in grande il numero verde da chiamare per avere informazioni sul coronavirus, il 1500. Un nostro collaboratore appena rientrato dalla Cina ha provato a chiamarlo ripetutamente per capire come comportarsi, trovando sempre occupato. E i siti istituzionali, come sottolinea anche il virologo Roberto Burioni, sono silenti o poco aggiornati a causa del fine settimana.
Le cifre sugli infetti ovviamente sono solo un esempio utile a dimostrare un problema: dove devono informarsi i cittadini? I giornali sono chiaramente una delle fonti principali, ma possono essere l’unico punto di riferimento su questioni di questo tipo? Al momento si deve comunicare un rischio ed evitare il panico e sono le istituzioni pubbliche a dover scendere in campo direttamente. Senza filtri, senza contare sulle innumerevoli conferenze stampa che si stanno tenendo in questi giorni: con un’unica regia, anche comunicativa, che dia ai cittadini ciò che chiedono. Informazione. Qualche certezza nel caos che si crea quando si ha comprensibilmente paura. Nell’epoca della disintermediazione, nell’era in cui non serve più un passaggio intermedio tra una fonte e il suo destinatario, ci si immaginerebbe che i profili sui social network, oltre a un portale unico e ben posizionato su Google, siano il primo fronte cui rispondere all’esigenza comunicativa di un problema come il nuovo coronavirus. Lo hanno già capito bene alcuni dei politici italiani che ormai fanno più affidamento ai social media che alla grancassa dei giornali tradizionali. Le istituzioni molto meno.
L’Istituto superiore di sanità infatti non ha un profilo su Facebook (a parte IssSalute, che fino a venerdì parlava dei benefici dell’attività fisica), mentre su Twitter si trovano giusto due tweet negli ultimi due giorni. Con il ministero della Salute la situazione migliora un poco, con dirette dalle conferenze stampa e card informative. Peccato che nessuno risponda alle centinaia di commenti sulla pagina: dubbi, domande e notizie non verificate non trovano né un orecchio né tanto meno una voce. Su Instagram un unico video con lo spot di Michele Mirabella che gira in Rai, qualche informazione in più nelle Storie. Meglio andare sul locale, aspettando informazioni dalle singole Regioni (come Lombardia e Veneto), più presenti sui social network.
L’impressione è che non ci sia un minimo di coordinamento tra tutte queste realtà. Nel caos informativo di queste giornate concitate, non c’è un punto di riferimento unico. Non c’è una voce pacata che, con costanza e meticolosità, risponda alla paura che ognuno di noi prova in queste situazioni. Possibile che, nel 2020, le istituzioni ragionino ancora con una mentalità da anni Novanta? È normale che ci si preoccupi con priorità del contenimento dei focolai di nuovo coronavirus, individuando i casi, isolandoli e cercando di risalire alle persone con cui sono entrati in contatto. Ma non dimentichiamoci anche l’altra faccia del problema: se non comunichiamo al meglio ciò che sta succedendo e le misure che si stanno prendendo, sarà come non aver comunicato affatto.
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