Scrittrici diverse di varie culture hanno rappresentato non solo il tabù del ciclo mestruale, ma anche le problematiche del corpo di una donna. Con interessanti punti di vista alternativi agli stereotipi del patriarcato
(foto: DAVID TALUKDAR/AFP via Getty Images)
Ogni giorno le cifre sono allarmanti: non solo i casi di violenza domestica sono in aumento; non solo le donne sono tra le più discriminate sia socialmente che nei luoghi di lavoro, ma si sta facendo ancora troppo poco per risolvere queste condizioni. Nel mondo potremmo usare il concetto di pink tax, ovvero il sovrapprezzo subito di frequente dai prodotti di consumo femminili, contro il quale si sono levate centinaia di proteste e campagne. Non solo in Italia, poi, il corpo di una donna anche nei suoi cicli naturali è bistrattato: la recente vicenda della tampon tax sugli assorbenti, infatti, ci ricorda del vero e proprio costo dell’essere donna nel mondo. E da sempre il ciclo mestruale – storicamente considerato manifestazione del diabolico ma anche potente rituale del sangue studiato da antropologi e storici – ci pone di fronte all’alterità imprescindibile della femminilità.
A gennaio del 2016 un bel reportage della scrittrice Igiaba Scego su Internazionale aveva presentato il problema. “Le mestruazioni sono una cosa seria”, s’intitolava, e spiegava in modo puntuale il ruolo di emancipazione svolto dal ciclo mensile in società non solo occidentali. Dell’argomento ha trattato anche il saggio fondamentale della giornalista e femminista francese Élise Thiébaut, Questo è il mio sangue, uscito per Einaudi. La tesi del libro è che una consapevolezza concreta del ruolo positivo del ciclo potrà non solo fugare superstizioni ancora presenti – “che provengano dalla mitologia, dalla religione o dalla medicina, continuano a permeare la mentalità tanto da ripercuotersi sulla salute e sul benessere delle donne” si legge nel libro – ma anche portare a una vera e propria rivoluzione mestruale, sia sul piano simbolico che su quello reale. Oscillando tra un’analisi delle principali questioni contemporanee relative alle mestruazioni (usi, tecniche e stereotipi anche medici), una spiegazione totalmente scientifica e un’analisi storico-antropologica, sovente con riferimenti letterari – in primis Carrie di Stephen King, dove l’arrivo del ciclo è lo spalancarsi dell’Inferno – e al ruolo di rituale spesso represso svolto dal ciclo nelle culture e religioni di tutto il mondo, dal Giappone alle Americhe, l’autrice si mette in prima linea con un Io personale che racconta, passo dopo passo, il proprio legame con una manifestazione del proprio corpo desiderata e indesiderata allo stesso tempo, fin dall’infanzia. Costruendo una fitta autobiografia del proprio ciclo che diviene autobiografia di tutte le donne.
Seguendo questo percorso doloroso relativo alla biografia del corpo intimo di una donna e rimanendo in Francia, va segnalato l’ultimo romanzo di Annie Ernaux uscito in Italia, L’evento, sempre per l’Orma editore. Che racconta una drammatica catabasi di una ragazza di vent’anni verso un aborto clandestino nella Francia gollista dei primi Sessanta, che ancora lo proibiva. Circondata da madri che fanno finta di niente pur sapendo e da medici uomini che pur aiutando si mostrano impassibili, e ovviamente da una società crudele che ancora nel XX secolo non accetta la libertà di una donna rispetto alla sola funzione riproduttiva – “nulla”, scrive invece la Ernaux a protesta nel romanzo memoir, “impediva al sesso di una donna di tendersi e di aprirsi, anche quando nella pancia c’era già un embrione che avrebbe potuto protestare” – l’autrice parte dall’esperienza del proprio ventre ridotto a corpo di reato in modo anti-ideologico, con crudezza e meticolosità poetica che le sono proprie, ovvero con una scrittura che difende essa stessa il diritto a scrivere di certe esperienze in quel preciso stile: “Le cose mi sono accadute perché potessi renderne conto”, si confessa. Sicuramente una lezione, la sua, di come la scrittura possa entrare come un bisturi nei recessi di un corpo e ridonare dignità di fronte alla proibizione e ai tabù di una società patriarcale.
Sul fronte anglosassone e americano, potremmo prendere, tra i molti libri che raccontano il corpo di una donna, le sue libertà ma anche i soprusi subiti, due pubblicazioni: l’una acclamata come quella di Three Women di Lisa Taddeo, frutto di molti anni di dossier e interviste con centinaia di donne di ogni estrazione sociale, culturale ed etnica – un libro sovente segnalato tra libri più toccanti del 2019 – l’altra invece un romanzo weird che uscirà presto in Italia, riportando da noi la sua autrice eccessiva e visionaria post-punk femminista, Kathy Acker (parliamo di Blood and Guts in High School).
Il libro di nonfiction della Taddeo (anche se è arduo definirlo solo un pezzo di nonfiction) racconta tre storie di donne, dopo aver scrutinano centinaia di casi in lungo e in largo per l’America. Le tre, Maggie, Lina e Sloane, sono quelle che si sono aperte totalmente di fronte ai loro desideri e al loro senso di vergogna. Le loro tre storie parlano di corpi abusati, dipendenti o assolutamente non considerati, tre forme di desiderio portate all’accesso dalla presenza invasiva maschile. Maggie ha avuto una relazione con il proprio professore a 17 anni e ha subito lo stigma sociale di averlo successivamente rivelato; c’è Lina, rifiutata sessualmente dal marito persino quando si tratta di un bacio in bocca; c’è infine Sloane, alla quale suo marito chiede ripetutamente di far sesso con altri uomini e donne, in sua presenza. Un libro che attraverso un’empatia distaccata e senza pregiudizi (l’uso della terza persona serve pur sempre da filtro) ci fa conoscere il proibito desiderio femminile, spesso inaccessibile agli uomini.
Dall’altro lato, attraverso la decostruzione di molti tabù, procede l’altro, il metafinzionale Blood and Guts in High School di Kathy Acker. Una bambina di 10 anni, Janey Smith, si trova a essere imprigionata da un mercante di schiavi persiano come sua prostituta. Dalla sua prigionia ricorda, in una sorta di diario fatto di poesie e mappe dei sogni dettagliate che infrangono la linearità della pagina in un collage impazzito, le sue avventure e soprattutto disavventure sessuali: prima un padre che abusava di lei, poi gli uomini con i quali a New York ha avuto numerosi rapporti, infine un enigmatico Jean Genet del quale si innamora a Tangeri, e con il quale viaggia. La trasgressione della Acker non è solo sessuale, ma anche linguistica, racconta il corpo della ragazza abusata e lo scaglia contro vari totem: gli uomini e i complessi edipici, il capitalismo, il controllo del gender da parte della società. Nella ricerca disperata di un amore che dia ordine al caos: “L’amore se ne va quando la tua mente se ne va e poi sei qualcun altro”, si trova scritto, ed è quasi il lemma del libro.
Sulla linea impazzita della Acker, potremmo inserire anche Lettura facile della scrittrice spagnola Cristina Morales, che presto speriamo di leggere in Italia, il quale ci permette di continuare il nostro ragionare sul corpo femminile dal punto di vista della letteratura in lingua spagnola. Sono quattro donne, Ángels, Marga, Patri y Nati, le protagoniste del romanzo della Morales. Sono femministe, anti-machiste, estreme e un po’ anarchiche, vivono in una Barcellona difficile, di case occupate o sussidiate dal governo. Ma sono anche quattro donne intellettualmente diagnosticate come disabili, seppur ognuna in diversa percentuale, che condividono un appartamento e che usano il loro corpo e la loro lingua in modi differenti. Chi come Nati è ballerina, chi come Marga è affetta da ninfomania – per quale un giudice sta decidendo al riguardo della sua sterilizzazione – chi come Àngels scrivendo un romanzo autobiografico usando WhatsApp e il metodo della lettura facile, chi infine teorizzando in modo folle contro machismo e fascismo come Patri. Nel romanzo, alle confessioni delle donne davanti al giudice che deve decidere di agire in modo così violento sulla dimensione sessuale di una di esse, si alternano momenti di anarchia stilistica, come quando all’improvviso si interrompe riproducendo una peculiare fanzine femminista. Seguiamo così la disconnessa danza di voci di queste donne, a loro modo rivoluzionarie, e allo stesso tempo un’intelligente lavoro sul linguaggio, che varia di personaggio in personaggio.
Ritornando per concludere al Belpaese, come detto protagonista di un recente dibattito sulla tampon tax quanto mai necessario, vorremmo segnalare due libri che rivedono per punti di vista il ruolo delle donne e del loro corpo, chiamando in causa scrittrici e illustratrici italiane. L’uno, Le Nuove Eroidi, uscito per Harper Collins, prende spunto dalle Eroidi di Ovidio, il quale si immaginò – in una serie di epistole in versi – il rivolgersi di alcune donne del mito ai loro mariti e compagni, in modo rivoluzionario forse all’epoca e per l’oggi sicuramente stimolante. Nel nuovo libro troviamo alcune delle migliori voci tra le scrittrici contemporanee, tra le quali Teresa Ciabatti, Veronica Raimo, Chiara Valerio e Valeria Parrella, che hanno scelto di riscrivere i miti di donne antiche: dove il processo a Fedra diviene attuale, dove il dramma di donne in fuga viene inscenato in un barcone, mentre sempre sul mare più terribile una novella Penelope si reca per salvare rifugiati, e poi ancora novelle Didoni e reinvenzione del mito della follia di Ercole dal punto di vista di Deianira, così come non possono ovviamente mancare Medea (che però adesso vive in Maremma!) ed Elena di Troia. Il gioco di cambio di prospettiva è fatto con maestria dalle scrittrici, dimostrando la necessità di una battaglia comune, arcaica quanto attuale. E quindi segnaliamo, quasi in parallelo al volume Harper Collins, Post-Pink – antologia del fumetto femminista, che prosegue l’ottima qualità del progetto di Tito Faraci per la sua collana Feltrinelli Comics sui fumetti, e presenta nove autrici alle prese con desideri e drammi del corpo femminile – tra le altre, Fumettibrutti che racconta di una donna nata con il corpo di uomo a Silvia Rocchi che – assieme a Sara Pavan – si concentra invece sull’aspetto del piacere femminile: recondito, inimitabile, spesso intraducibile, rosso vivo come una mestruazione che la società spesso non tollera o non vuole vedere.
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