Non poteva che essere dedicato ai suoi amatissimi buchi neri, e al misterioso destino degli oggetti che vi cadono dentro, l’ultimo studio del celebre fisico Stephen Hawking, pubblicato postumo dai suoi collaboratori di Harvard e Cambridge su Arxiv, il sito che traccia gli articoli scientifici prima della revisione in vista della pubblicazione ufficiale.
Lo studio, intitolato ‘Black Hole Entropy and Soft Hair’, è stato l’ultimo sforzo compiuto dal fisico britannico prima della morte, avvenuta il 14 marzo 2018. Pochi giorni prima il collaboratore Malcolm Perry, docente di fisica teorica a Cambridge, lo chiamò per aggiornarlo sugli ultimi sviluppi, ignaro dell’aggravamento delle sue condizioni di salute. “Era molto difficile per Stephen comunicare – racconta Perry alla stampa britannica – e fui messo in vivavoce per spiegare dove eravamo arrivati. Quando terminai, lui fece semplicemente un grande sorriso. Gli dissi che avevamo fatto progressi. Lui sapeva il risultato finale”.
L’obiettivo dello studio è infatti districare il cosiddetto paradosso dell’informazione dei buchi neri, ovvero scoprire che fine fanno le informazioni fisiche relative a un oggetto che viene risucchiato da un buco nero. La sua caduta dovrebbe aumentare la temperatura del buco nero e, secondo quanto suggerisce il nuovo studio, anche il grado di disordine interno (entropia). Questa variazione dovrebbe essere registrata dai ‘pacchetti’ di luce (fotoni) che viaggiano vicino al ‘bordo’ (orizzonte degli eventi) del buco nero e che Hawking e i suoi colleghi chiamano ‘soft hair’, morbidi capelli. “Non sappiamo se l’entropia di Hawking vale per qualsiasi cosa possa finire in un buco nero, per questo – conclude Perry – si tratta solo di un passo lungo il cammino”.