Il premio Nobel chiama i governi a prendere le redini dello sviluppo delle tecnologie per creare un futuro equilibrato per tutti
Mohammad Yunus all’Ey Capri Digital Summit 2019
Capri – Si dice preoccupato, Mohammad Yunus. L’economista e banchiere bengalese, inventore del microcredito, un circuito finanziario per prestare soldi a persone troppo povere per ottenerli dalle banche tradizionali, e premio Nobel per la pace nel 2006, dice che “è il momento di puntare i piedi”. Come spiega a Wired a margine dell’Ey digital summit, il forum sull’innovazione organizzato dalla società di revisione contabile Ernst & Young, tra quindici anni “vedo tremende conseguenze. In termini ambientali, in termini di coesione sociale, a causa dell’estrema concentrazione del benessere. Ci sarà un’esplosione delle emozioni umane per via delle frustrazioni dovute alle povertà e alla perdita del reddito”. Per questo Yunus, che ha creato una banca basata sulla fiducia, “dobbiamo puntare i piedi oggi, dire che non deve succedere”.
Yunus, cosa serve?
“Leadership. Ma quel tipo di leadership è assente, sia in politica sia in economia. La deve prendere l’Unione europea, visto che è composta da molte grandi nazioni. È successo con la privacy, c’è uno stretto impegno sull’ambiente. Bisogna renderlo concreto ora”.
Siamo nel mezzo di una grande trasformazione tecnologica. Che prospettive vede?
“Ogni tecnologia può essere una benedizione o una maledizione. È una maledizione se mi ruba il lavoro, il mio reddito, mi lascia solo. Nei prossimi quindici anni uno studio dice che mezzo miliardo di posti di lavoro rischia di essere perso. Una soluzione è il reddito universale di base. Non voglio vedere un mondo in cui tutti gli uomini diventano mendicanti. Voglio vedere i bambini di oggi, e me stesso, impegnati a creare, lavorare, contribuire. Una buona intelligenza artficiale può essere applicata alla medicina: identifica esattamente il mio problema, lo riconosce mentre si sviluppa, non quando si è già complicato, mi cura per tempo”.
Qual è secondo lei la strategia da adottare per distinguere una strada dall’altra e adottare la tecnologia più inclusiva?
“La scelta deve essere affidata ad alcune regole definite dalle Nazione unite. Le linee guida devono essere due: non si sviluppa una tecnologia che fa male alla persona, non si sviluppa una tecnologia che fa male alla pianeta. Sono regole semplici, che però vanno calate nel concreto. Alcune tecnologie possono avere dei rischi ma altrettanti benefici. Oggi se sviluppiamo una tecnologia che può rimuovere l’uomo, non può passare automaticamente, ma deve passare da una regolamentazione. Dobbiamo eliminare velocemente le tecnologie che possono essere dannose. La tecnologia che arma i cybersoldati non è buona. Le fake news non sono buone. Dobbiamo concentrarci solo su ciò che porta un beneficio”.
Lei chiede accordi internazionali ma non c’è allineamento su questi temi. Come si scrivono queste regole?
“Deve partire da un paese. Qualcuno deve iniziare, allora gli altri diranno: se l’hai fatto tu, posso farlo anche io. Ma al momento non vedo nessuno. I leader non vedono il futuro. Lo vediamo con il cambiamento climatico. Dicono che è una bufala. Come si fa a negarlo? Sappiamo che il clima si surriscalda, si alzano i livelli del mare, si sciolgono i ghiacciai. Cosa pensano di fare? Come lo affrontiamo?
Questo è il momento della storia dell’uomo con i livelli più bassi di povertà. Il digitale può contribuire a superare gli ultimi ostacoli?
“Le tecnologie digitali possono essere di beneficio per le persone povere, fornendo soluzioni ai loro problemi. E la connettività di internet è fondamentale. Ma dobbiamo rifondare il sistema economico dalla basi. Tutto ciò che è fondato sull’avarizia è sbagliato”.
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