Secondo alcune simulazioni, nel contagio degli anziani ha pesato di più la socialità propria della cultura italiana, più che gli incontri inter-generazionali, spesso additati come veicolo
Non sono – o almeno solo in parte – giovanissimi e giovani ad aver favorito il contagio di Covid-19 nella popolazione anziana. Lo dimostra uno studio sulla diffusione del coronavirus nella prima ondata della pandemia in Italia. La ricerca rivela che nella trasmissione del virus fra gli anziani ha avuto molto più peso il numero di contatti e di incontri sociali che queste hanno avuto, più che gli scambi e l’interazione con persone di età più giovane. Insomma, la causa dei contagi sarebbe da rintracciare nell’intensa socialità degli italiani più che nei rapporti con i ragazzi, invece spesso etichettati quasi come “untori”. I risultati, basati su simulazioni e ottenuti dall’università di Trento, da quella di Bologna e dalla Sorbona, sono pubblicati su Plos One.
Quanto conta la famiglia
La ricerca fotografa anche la situazione della Germania e del Regno Unito, confrontando il numero di casi di Covid-19 e la struttura dei contatti sociali. In Italia nella prima ondata ci sono stati più contagiati rispetto agli altri due paesi. Molti hanno attribuito questo fenomeno anche alla più forte rete delle famiglie italiane, a volte allargate, in cui non è raro che nonni e nipoti e genitori anziani con figli giovani vivano insieme o comunque si incontrino spesso. Gli scienziati di Trento e Bologna hanno voluto vederci chiaro per capire quale sia il peso di questa interazione intergenerazionale.
Per farlo hanno considerato alcuni dati nazionali quali il numero medio di interazioni di una certa fascia d’età, la distribuzione delle età delle persone con cui questi gruppi di persone entrano in relazione. Hanno poi realizzato delle simulazioni, con un modello matematico, per collegare queste informazioni con il numero di casi Covid-19, sempre divisi per età e per tutti e 3 i paesi. Si tratta ovviamente di simulazioni matematiche e non di un’indagine sul territorio della ramificazione dei contagi (questo sarebbe il tracciamento, un processo di analisi che nelle forti ondate della pandemia saltava). “Abbiamo esaminato nello specifico il ruolo di tre caratteristiche delle reti sociali – spiega Lucas Sage, dottorando alle università di Trento e della Sorbona, primo autore dello studio -. La ‘degree distribution‘, ovvero quanti contatti faccia a faccia hanno mediamente le persone nei tre diversi paesi; la ‘age-mixing‘, ovvero le differenze di età delle persone che si incontrano; il ‘clustering‘, ovvero la tendenza delle persone a condividere gli stessi contatti nelle reti sociali”.
Pesa di più il numero di contatti sociali
Dalla simulazione è emerso che la differenza di età, dunque il fatto che generazioni diverse stiano insieme, ha un peso relativo (ma non null0), mentre quello che è importante, per il contagio, è il numero complessivo di contatti faccia a faccia tra le persone. In generale, nella maggior quantità di casi di Covid-19 italiani conta molto il numero di incontri sociali giornalieri, che risulta più alto rispetto a quello rilevato in Germania e nel Regno Unito.
Si sa o forse è in parte pregiudizio, ma almeno oggi sembra confermato: noi italiani abbiamo una vita sociale molto attiva e tendiamo a toccarci ed abbracciarci di più di altre popolazioni europee. “Questi risultati – scrivono gli autori nel testo – sono in contrasto con una parte della discussione tenuta dai media e dal mondo accademico, per cui, i contatti intergenerazionali hanno avuto un ruolo importante nella spiegazione delle differenze fra i paesi”. I risultati devono comunque essere presi con cautela, anche perché frutto di simulazioni, e non invitano in alcun modo ad allentare le misure di protezione, come l’uso delle mascherine o il distanziamento, anche all’interno della rete familiare e a prescindere dall’età.
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