Fare molta pratica e poi lasciarsi andare: è questo il segreto per far sgorgare dal cervello quel flusso creativo che produce nuove idee, utili ad esempio per improvvisare una jam session, dipingere un quadro o cercare la soluzione di un problema scientifico. Lo dimostra lo studio dell’attività cerebrale di 32 musicisti jazz, condotto dai ricercatori della Drexel University a Philadelphia. I risultati sono pubblicati sulla rivista Neuropsychologia.
Il flusso creativo “è stato identificato e studiato per la prima volta dal pioniere delle scienze psicologiche Mihaly Csikszentmihalyi”, spiega il coordinatore dello studio John Kounios, che dirige il Creativity Research Lab della Drexel University. “Lo definì come uno stato in cui le persone sono così coinvolte in un’attività che nient’altro sembra avere importanza; l’esperienza è così piacevole che le persone continuano a farla anche a caro prezzo, per il solo gusto di farla”. Secondo alcuni studiosi, questo flusso sarebbe uno stato di iper concentrazione che esclude pensieri estranei e distrazioni per consentire prestazioni superiori.
Stando a una recente teoria, in particolare, il flusso si genera quando la rete di default del cervello (quella che usiamo ad esempio per sognare a occhi aperti in uno stato di vigile riposo) si attiva e opera sotto il controllo dei lobi frontali del cervello. Una teoria alternativa sostiene invece che il flusso creativo nasce da una lunga esperienza, che porta circuiti cerebrali specializzati a produrre certi tipi di idee senza un grande sforzo cosciente: la magia scatta poi quando il circuito cerebrale di supervisione lascia andare le briglie, permettendo l’inserimento di una sorta di pilota automatico che porta a produrre nuove idee.
Per mettere alla prova queste teorie, i ricercatori hanno registrato l’elettroencefalogramma di 32 chitarristi jazz impegnati a improvvisare sulla base di sei spartiti. I risultati dimostrano che i musicisti più esperti generano flussi creativi più frequenti e intensi rispetto ai meno esperti. I flussi sono anche associati a una riduzione dell’attività nella circonvoluzione frontale superiore (una regione di controllo del cervello), in linea con la teoria che vorrebbe il flusso creativo frutto dell’esperienza e della capacità di lasciarsi andare.
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