Il porto di Rotterdam, da solo, produce un quinto di tutta la CO2 olandese. Ecco cosa sta facendo per cambiare e perché è un esempio
Sostenibilità e shipping: container al porto di Rotterdam (Ph. Eric Bakker)
È nata da poco. Si chiama Getting to Zero 2030 coalition, partecipano paesi come Danimarca, Regno Unito, Olanda, Finlandia, Corea, e decine di aziende tra cui Maersk (il più grande player di logistica integrata al mondo) e Shell, i porti di Anversa, Rotterdam e Vancouver, e, tra gli altri giganti, China Navigation Company. Per l’Italia c’è Snam.
Obiettivo: ridurre del 50% le emissioni del trasporto marittimo entro il 2050 rispetto a quelle del 2008, per arrivare, progressivamente, a una totale eliminazione. E considerato che una nave ha una vita media di 20 anni, la flotta che entrerà in servizio nel 2030 dovrà essere già a emissioni ridotte, per riuscirci. Ma come si può raggiungere un traguardo tanto ambizioso? Quali sono le tecnologie in gioco? Si possono modificare le rotte (ad esempio, percorrendo la “rotta artica” oppure integrando la logistica marittima con quella ferroviaria)?
Shipping: quanto inquina spedire via mare
Qualche dato. Il trasporto merci marittimo incide per circa l’80% sul commercio globale e del 2-3% sul totale delle emissioni di gas serra. In caso di inazione, queste ultime sono destinate a crescere tra il 50% e il 250% entro il 2050. È la globalizzazione, bellezza: funziona per creare sviluppo economico, ma il costo può essere alto in termini ambientali.
Per comprendere quanto inquini complessivamente il settore delle spedizioni marittime bisogna analizzare l’intero viaggio compiuto da un singolo carico. Appena uscita dalla fabbrica, la merce viene trasferita (normalmente via gomma o ferro) fino a un centro di smistamento, dove viene caricata su container e quindi imbarcata per compiere il tragitto. Una volta giunto a destinazione, il bastimento deve essere scaricato; la merce, a questo punto, è pronta per essere smistata ed eventualmente stoccata, in attesa di giungere sugli scaffali della distribuzione.
I porti sono l’infrastruttura centrale del processo; se si vuole abbattere i costi ambientali dello shipping, non è possibile trascurarne il ruolo di generatori di inquinamento. Un esempio? Molti racchiudono nel proprio perimentro impianti di raffinazione e stoccaggio, dove greggio e gas subiscono le prime lavorazioni.
Il caso di Rotterdam
Il porto di Rotterdam, il principale in Europa, produce da solo un quinto di tutta la CO2 olandese. Il gigante, oggi alimentato principalmente con fonti non rinnovabili, ha avviato un processo di riconversione che dovrebbe portarlo progressivamente a produrre tutta l’energia di cui ha bisogno, a partire dall’idrogeno. Gas che, a sua volta, oggi si ricava utilizzando energia “fossile”: ma l’intenzione è passare al green grazie a un sistema di pale eoliche installate offshore. Il piano è completare la transizione entro il 2030.
Ma la via per la sostenibilità comprende una serie di altri fattori chiave. Per esempio, il riutilizzo del calore residuo prodotto durante le lavorazioni che domani potrà essere sfruttato dalle abitazioni civili. Il valore di quello sprecato è stimato in 6 miliardi di euro. Recuperandolo mediante tubazioni, si potranno riscaldare anche altre città, come L’Aja. Non solo. “La CO2 prodotta sarà trasportata tramite condotte fino alle serre dell’ovest del paese, dove gli agricoltori non aspettano altro, perché è in grado di far crescere più in fretta le loro piante”, afferma Nico van Dooren, direttore energia e processi industriali dello scalo. “Quanto all’anidride carbonica avanzata, sarà stoccata in depositi sotterranei, in attesa di nuove tecnologie che consentano di impiegarla per ottenere gas naturale tramite l’idrogeno”, aggiunge Eric van der Schans, direttore gestione ambientale.
Non è tutto. È allo studio la fattibilità di un impianto geotermia che sfrutti il calore degli strati profondi della terra per produrre energia pulita. Ulteriori politiche di moral suasion coinvolgono nella transizione le aziende presenti all’interno del complesso, invitate a installare pannelli solari. Ma il porto offre anche sconti sulle tasse a chi presenta un green award certificate, e 5 milioni di euro in incentivi per le navi che usano combustibili puliti come il gnl (gas naturale liquido).
L’alimentazione dei cargo è, ovviamente, un tema fondamentale per combattere l’inquinamento dei mari. Per favorire il cambio di tecnologia, oltre a installare nuovi motori, è necessario ammordernare i porti costruendo serbatoi adatti a contenere il nuovo combustibile. Le ragioni di ambientalismo ed economia si trovano, come spesso accade, a confliggere. Il cambio di paradigma renderà di colpo obsoleti gli attuali impianti, che hanno vita media di 50 anni e i cui costi rientrano in strategie ultradecennali di ammortizzazione. Basterà la presenza delle compagnie petrolifere nella Getting to Zero Coalition a smorzare le inevitabili resistenze?
Le soluzioni alternative al trasporto marittimo
La nuova via della Seta potrebbe offrire un’alternativa alle spedizioni via mare. Inviare un container dalla Cina alla Polonia, che punta a diventare un hub europeo della logistica, richiede solo dodici giorni se il trasporto avviene via terra. Città come Varsavia e Lodz si stanno attrezzando, e grandi compagnie come Amazon stanno investendo nel paese, grazie a politiche governative favorevoli e a un costo del lavoro che resta competitivo nonostante sia aumentato negli ultimi anni.
Italia ancora ferma
E l’Italia? C’è ancora parecchio da fare. Il Belpaese può contare su una serie di scali di piccole e medie dimensioni che movimentano il 38% dell’import-export nazionale, dieci punti sotto il trasporto su gomma (preponderante, e che si attesta al 49%). Ma se il “gigante” Rotterdam ha un piano dettagliato per la sostenibilità che prevede interventi mirati e addirittura un management dedicato, e quelli di Anversa e Vancouver riservano intere sezioni del sito ufficiale alla questione, sulla pagina del principale porto italiano, quello di Trieste, la parola viene a malapena menzionata. A Genova si va poco oltre a una vaga “Dichiarazione politica ambientale” risalente all’agosto 2018. Tra gli interventi previsti, “perseguire il miglioramento continuo delle prestazioni ambientali”, “realizzare iniziative atte a perseguire l’efficienza energetica”, “promuovere la conoscenza e la sensibilizzazione di tutte le parti interessate sulle tematiche ambientali”. Impegni però privi di riferimenti e di date.
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