Le vicende recenti di spionaggio in Rete parlano di hacker ma in realtà si tratta di casi di infedeltà aziendale.
Il funzionario di medio livello di Intesa San Paolo, addetto all’erogazione dei mutui e dei finanziamenti per gli imprenditori agricoli nella sede di Barletta e che accedeva abusivamente ai dati dei conti correnti e delle carte di credito, è un hacker?
No, perché non ha aggirato nessuna protezione informatica adoperando particolari abilità informatiche ma ha potuto, in modo assolutamente normale, accedere alle banche dati dei conti correnti in quanto abilitato ad accedervi con nome utente e password.
Detto funzionario è apparso almeno per lungo tempo uno stakanovista agli occhi dei superiori proprio per la frenetica consultazione delle banche dati, finché non si è scoperto che vi accedeva senza giustificazione, se non una curiosità particolare per VIP, politici, cantanti e uomini dello spettacolo.
E il tenente colonnello dei Carabinieri di Prato, che accedeva alle banche dati della polizia giudiziaria per favorire imprenditori amici in cambio di favori, viaggi e vestiti, e che ha patteggiato 15 mesi con la condizionale? È un hacker o un servitore infedele dello Stato? La risposta giusta è certamente la seconda, perché ha fatto uso illegale di strumenti ordinari di indagine distorti per finalità personali.
Per approfondire:
Così anche lo scandalo che sta ora coinvolgendo la società di proprietà del presidente della Fiera di Milano, un ex investigatore dell’antimafia, ma anche poliziotti, carabinieri e guardie di finanza sembrerebbe non tanto il lavoro di qualche hacker, quanto piuttosto l’azione di un’agenzia capace di infiltrarsi nei posti giusti per accedere a informazioni riservate e venderle poi a politici, imprenditori e magari a servizi stranieri.
Poi certo si offrivano anche altri “servizietti” tipo il monitoraggio abusivo dei dipendenti di grandi aziende e delle loro comunicazioni elettroniche, ma l’attività non era principalmente di hacking.
È dunque improprio parlare di hacker – nell’accezione ormai comune di “criminale informatico”, non di quella originaria del termine – in azione, quando invece si tratta di eventuali illeciti commessi grazie a privilegi di cui si è già in possesso.
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