Per la prima volta è stato possibile produrre le cellule staminali del sangue in grandi quantità. Il segreto è nell’ingrediente utilizzato per farle moltiplicare: è l’alcol polivinilico normalmente utilizzato nelle colle, per lubrificare le lenti a contatto, ma anche per le colture di embrioni. Il risultato è stato ottenuto su cellule di topo, ma se la tecnica potrà essere applicata anche per produrre le staminali umane del sangue, potrebbe essere usata per trapiantare queste cellule nelle persone con leucemia.
L’esperimento, pubblicato su Nature, si deve al gruppo coordinato dal biologo Hiromitsu Nakauchi, dell’università di Tokyo e della Stanford University in California.
E’ da molto tempo che si tentava di produrre in grandi quantità le staminali del sangue, ma finora nessuno ci era riuscito. Nakauchi ha scoperto che la ragione per cui le cellule non sopravvivevano era la presenza di ‘impurità’ del mezzo in cui venivano coltivate, ossia una proteina del sangue chiamata albumina. Il ricercatore ha così pensato di sostituirla e per farlo ha esaminato una serie di composti tra cui l’alcol polivinilico. Grazie a questo ‘ingrediente’ le staminali del sangue si sono moltiplicate. Il processo è stato sperimentato per fabbricare staminali di topo che, una volta trapiantate in altri topi, si sono sviluppate nei componenti del sangue.
Di solito, il sistema immunitario cerca di distruggere le cellule del donatore, ecco perché i sistemi immunitari devono essere preparati prima che venga fatto un trapianto, in un processo chiamato condizionamento. Ma quando le staminali sono state trapiantate, le cellule hanno prosperato senza rigetto.
Probabilmente, perché secondo Nakauchi, sono state introdotte in grandi quantità. Il gruppo ora sta lavorando all’adattamento della tecnica per produrre staminali umane del sangue. Secondo Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget), l’idea di ridurre il bisogno di condizionamento, trapiantando una “mega-dose” di staminali del sangue “è attraente, ma richiede ulteriori test, prima nei topi e poi nell’uomo”.