La scena sembra tratta da un thriller ambientato nel futuro: Herb2, uno dei robot costruito dai ricercatori dell’Università di Washington, si anima all’improvviso e dal suo sintetizzatore vocale annuncia: “Ciao dagli hacker”.
È successo davvero qualche settimana fa e i responsabili dello scherzo si trovavano a migliaia di chilometri di distanza, dall’altra parte degli Stati Uniti, presso i laboratori della Brown University (Rhode Island).
L’intento del team della Brown non era certo quello di terrorizzare o prendere in giro i colleghi della West Coast, quanto quello di dimostrare quanto possa essere semplice, per un malintenzionato, prendere il controllo da remoto di un robot.
E visto che i robot ormai sono dappertutto, nelle fabbriche, negli uffici, ma anche per le strade, negli impianti militari e nelle nostre case, il problema non è affatto da sottovalutare.
Software troppo libero. Ma qual è la causa di questa pericolosa vulnerabilità? Secondo gli esperti deriva da ROS – Robot Operating System, una libreria di software e applicativi open source liberamente disponibile su Internet, che viene ampiamente utilizzata dagli ingegneri per la programmazione delle macchine.
Questo software non è particolarmente robusto dal punto di vista della sicurezza ed è perciò relativamente facile per un addetto ai lavori trovare falle che permettano di prendere il controllo da remoto dei robot che lo utilizzano.
Cacciatori di robot. I ricercatori della Brown hanno utilizzato un software chiamato ZMap per identificare i robot connessi a Internet che utilizzano ROS. Hanno poi cercato i punti deboli di ogni robot e li hanno segnalati al proprietario.
Ma nel caso di Herb2 hanno fatto un’eccezione, e dopo aver avvisato i colleghi di Washington sono entrati nella macchina e se ne sono impadroniti. I dettagli tecnici dell’esperimento sono stati pubblicati su ArXiv.
«Nessuno presta sufficiente attenzione agli aspetti collegati alla sicurezza» spiega a Futurism l’esperto di robotica George Clark, «soprattutto nel mondo della ricerca: troppo spesso l’obiettivo è quello di arrivare primi sul mercato. Ma quali potrebbero essere le implicazioni se questi prodotti entrassero nelle industrie o nelle nostre case?».