Scoperto un grosso difetto nella plastica certificata come compostabile anche a casa: il 60% non si decompone davvero e finisce quindi per inquinare ancora di più orti e giardini dove viene inconsapevolmente riutilizzata.
Lo afferma uno studio dello University College di Londra, pubblicato sulla rivista Frontiers in Sustainability, che ha coinvolto i cittadini britannici in un grande esperimento. La ricerca mostra anche come le etichette applicate sugli oggetti di plastica compostabile e biodegradabile siano fuorvianti e confondano i consumatori, portando ad un errato smaltimento dei rifiuti.
L’inquinamento globale da plastica è una delle maggiori sfide ambientali del nostro tempo: un rapporto pubblicato lo scorso febbraio dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Oecd) mostra che il consumo di plastica è quadruplicato negli ultimi 30 anni, e solo il 9% viene riciclato. La domanda di plastica compostabile sta quindi crescendo sempre più, con impieghi in sacchetti per rifiuti organici, imballaggi per alimenti, piatti e posate
Il problema, evidenziato dallo studio guidato da Danielle Purkiss, è che questo tipo di plastica è attualmente incompatibile con la maggior parte dei sistemi di gestione dei rifiuti e non esiste uno standard internazionale per la plastica compostabile domestica. Il destino di queste plastiche, una volta gettate via, è quindi l’incenerimento o il conferimento in discarica, fatto del quale i consumatori sono ignari.
“Abbiamo dimostrato che il compostaggio domestico, essendo incontrollato, è in gran parte inefficace e non è un buon metodo di smaltimento per gli imballaggi compostabili”, commenta Purkiss. “L’idea che un materiale possa essere sostenibile è un malinteso molto diffuso: in realtà – aggiunge la ricercatrice – ad essere sostenibile è il sistema con cui quel materiale è prodotto e riciclato”.