L’amministratore delegato sembra pronto a lasciare: pesa lo scontento di Vivendi e lo stop al progetto di Rete unica.
Per Luigi Gubitosi, amministratore delegato di TIM, appena nominato Cavaliere del Lavoro da Mattarella, sembra venuto il momento di lasciare il vertice dell’ex monopolista con la solita buonuscita milionaria “tradizionale” (per TIM): non arriverebbe ai livelli ormai mitici di Flavio Cattaneo, ma potrebbe essere intorno ai 10 milioni di euro.
Gubitosi andrebbe via sull’onda del titolo TIM sceso ai minimi storici di sempre, a causa del mancato raggiungimento degli obbiettivi legati all’accordo con Dazn sul calcio, che ha registrato non pochi problemi tecnici a fronte di un forte investimento di TIM.
A questo si aggiunge il mancato decollo del progetto Rete unica con la fusione con Open Fiber, a cui credevano molto i pentastellati Conte e Di Maio, ma a cui sembrano credere molto meno Mario Draghi e il leghista Giorgetti; ricordiamo che il Governo attraverso Cassa Depositi e Prestiti è diventato uno dei maggiori azionisti di TIM.
Certamente pesa il fatto che Gubitosi non è mai andato d’accordo con l’altro azionista Vivendi, anche se Vincent Bolloré, proprietario di Vivendi, è politicamente un sovranista, lontano dall’europeismo di Draghi.
La gestione di Gubitosi ha però segnato molti punti a suo favore: un atteggiamento più conciliante con le autorità di garanzia; gli accordi per chiudere i forti contenziosi legali con i suoi concorrenti; la pace sociale interna all’azienda, con un rapporto più positivo con i sindacati, che ha portato a un taglio non traumatico di circa il 10% del personale in due anni, attraverso prepensionamenti e contratti di solidarietà espansiva e difensiva.
I successori potrebbero essere manager anche interni al gruppo più aggressivi rispetto al raggiungimento degli obbiettivi ma che realizzerebbero anche quel piano di scorporo di alcune attività che Gubitosi aveva già abbozzato.