Questa volta Nolan si disinteressa dei personaggi e dei loro intrecci e si dedica anima e corpo alle sue costruzioni gigantesche di intrecci temporali e azione
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Nonostante l’ambizione che Christopher Nolan ha di mostrare ogni volta al pubblico qualcosa di mai visto prima, di mettere in immagini momenti, dinamiche e situazioni che non avevamo mai osservato, al cuore di Tenet ci sono interazioni e meccanismi di una semplicità disarmante, già visti e sentiti mille volte. Chi ha visto Memento, il suo secondo film, sa che se quella stessa trama fosse raccontata linearmente sarebbe elementare, è il meccanismo di avanti e indietro con i flashback a creare la suspense, la tensione e la terribile attrazione del pubblico. Tenet è un po’ così, è una storia di spionaggio non diversa da quelle più classiche che conosciamo (solo più grande nelle ambizioni) trattata in molti momenti con una semplicità e una banalità estreme, capace però di diventare uno spettacolo epico, di immenso intrattenimento, pieno di rivelazioni e stratagemmi proprio in virtù del meccanismo al centro della trama. Come sempre insomma non è la storia a essere complicata, è Nolan che ce la rende complicata per appassionarci, sfidarci e farci divertire con il ragionamento. E ci riesce. Abbastanza.
La trama di Tenet sembra copiata da un qualsiasi film classico di 007. C’è un agente segreto in missione che si finge un esponente del jet set internazionale, per avvicinare un importante trafficante d’armi tramite la sua donna (che non gli è fedele). Tra yacht, feste e incontri clandestini escono fuori i veri piani del trafficante che non è mai chiaro se sappia o no che il nostro protagonista è un agente. Questo almeno fino a metà, fino a che il film non si ribalta come il suo titolo palindromo facendo un salto in avanti nella difficoltà di decifrazione e abbracciando la fantascienza. All’inizio ci sono proiettili che vanno all’indietro, poi arrivano le auto, poi le navi e via via tutto aumenta in complessità, Nolan ci vuole allenare a capire il meccanismo, per poi renderlo sempre più elaborato fino a un finale in cui, almeno ad una prima visione, è necessario fidarsi di quel che ci dicono stia succedendo più che capirlo.
John David Washington e Robert Pattinson
Senza il fratello Jonathan Nolan come co-sceneggiatore, stavolta sembra che nessuno abbia difeso le ragioni di una buona scrittura in fase di pre-produzione. La sceneggiatura scricchiola parecchio più del solito e tutto ciò che non riguarda l’intreccio temporale, le sue implicazioni, l’azione e l’intrigo è molto tirato via. Tutte le operazioni marginali riescono con grande semplicità, non ci sono troppe domande da farsi e anche le interazioni sono dirette e basilari. Anche se sconosciuti, i personaggi si confessano subito tutto quel che c’è da sapere, come se i rapporti fossero un ingombro da levare di mezzo invece che un piccolo cuore da costruire lentamente. C’è una gran fretta nello sbrigare le relazioni umane e nel dare ragioni, tutto fatto a parole senza troppa maestria, addirittura le motivazioni che spingono i veri mandanti del complotto internazionale (che poi è la motivazione centrale di tutto ciò che avviene nel film) sono raccontate in una frase sola, senza molta enfasi, e tocca fare bene attenzione a non distrarsi altrimenti la si perde.
Ma per fortuna Tenet davvero non è la sua trama, è altro. È una serie di labirinti temporali in cui lo spettatore è chiamato a risolvere puzzle di senso mentre guarda l’azione. Come in Inception, come in Interstellar e come in Memento ci sono incredibili pezzi di bravura visiva che sollazzano la vista e la testa. Tutto molto divertente, anche se stavolta un po’ troppo complicato. Nolan ha sempre avuto una capacità invidiabile di rendere chiare questioni complicate, qui non è così bravo. Ma è curioso come questi, che sarebbero difetti imperdonabili capaci di rovinare qualsiasi film, non rovinano più di tanto Tenet.
John David Washington e Robert Pattinson
Forgiato come il più classico degli schiacciasassi di Christopher Nolan, questo film è una macchina d’intrattenimento inesorabile che mangia i propri difetti lungo tutta la visione (purtroppo però questi ritornano a galla dopo i titoli di coda, impedendogli di essere memorabile, ma solo divertente). Tenet non accede mai al reame del cinema d’arte, il suo contenuto è poverissimo (se si eccettuano alcune suggestioni di fantascienza, mai affrontate e solo suggerite) ma si posiziona ai vertici più alti possibili dell’artigianato, un gioiello di dinamismo e ritmo, di ricostruzione e montaggio, il sollucchero di chi ama divertirsi al cinema. Sarebbe sciocco contestare cretinerie che altrove accettiamo (i dialoghi duri e complicati fatti, non si sa perché, a bordo di un hobie cat lanciato a massima velocità) invece di godersi come Nolan sappia regalare qualcosa di mai visto prima solo utilizzando lo strumento rewind del software di montaggio.
Peccato solo che il proprio apice il film lo tocchi verso metà e vada spegnendosi fino a un finale ben più moscio di quel che sarebbe lecito aspettarsi da una simile storia. Una volta privato del meccanismo e dei misteri, a Christopher Nolan sembra davvero non rimanere altro. E anche il rapporto tra i protagonisti, che solo a quel punto diventa importante, non è supportato da niente se non l’interpretazione di Robert Pattinson, l’unico assieme a Kenneth Branagh a cercare davvero di dare personalità a personaggi che di loro non ne hanno. Non ci si commuoverà mai davanti a Tenet, che vuole marginalizzare e nascondere i sentimenti, senza il minimo interesse verso la carnalità e il contatto fisico (fa impressione che l’unico bacio di tutto il film venga dato su un zigomo), ma di certo ricorda a tutti perché è bello andare al cinema.
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