Cassandra Crossing/ Tra licenze software, copyright e Dmca, c’è davvero da stupirsi?
È notizia recente che ad alcuni acquirenti di veicoli Tesla usati sono stati rimossi da remoto i software opzionali acquistati dal precedente proprietario.
Non parliamo di screensaver da pochi euro, ma di opzioni software che costano migliaia o decine di migliaia di dollari, e incidono profondamente sull’utilità e sulle prestazioni dell’autovettura. Parliamo di opzioni come la guida autonoma, del diminuire di un secondo il tempo necessario per arrivare a 100 km/h partendo da fermo, e altri dettagli di questo tipo.
Come commentare la notizia? Mostrare indignazione per il comportamento di Tesla? Sottolineare l’insensibilità dell’azienda verso i suoi clienti e la sua stupidità, avendo realizzato un autogol in termini di immagine aziendale e di storytelling del marchio? Niente di tutto questo: narrare la notizia in questi termini equivarrebbe a seminare disinformazione e ipocrisia.
In realtà tutta la responsabilità è degli acquirenti e del pubblico in generale; ignorano che il mondo è cambiato, e che spesso non sono più proprietari delle cose che credono di aver acquistato. Infatti alcuni cambiamenti, come quelli dei copyright del software e dell’introduzione dei Drm, protetti e potenziati da leggi come il Dmca, sono stati possibili solo per l’inazione dei cittadini/consumatori e per il lavoro delle lobby, mai contrastate in modo significativo dalla società civile.
Ma andiamo con ordine. Le leggi sul copyright del software prevedono e incentivano l’uso di licenze nominative, in cui l’acquirente non acquista il software, ma solo il diritto di utilizzarne personalmente una copia, diritto che non è cedibile, perché il “diritto di primo acquisto” non si applica.
Infatti, se comprate un libro o un compact disc, non potrete copiarlo e tanto meno venderne copie, ma potete rivendere tranquillamente la vostra copia. Ma se comprate la licenza di un software, o un’opzione software di un oggetto, questo acquisto viene fatto con licenze software di questo tipo, che sono ovviamente incredibilmente popolari tra i produttori di software. Non potete vendere il “vostro libro”. Non è vostro.
Ovviamente quando le licenze possono essere gestite da remoto dal venditore, come nel caso della Tesla, è ovvio che il loro valore commerciale venga tutelato da un enforcement, che ne preveda la rimozione all’atto della rivendita. La rimozione è perfettamente legale, perché certamente scritta nell’accordo di licenza software accettato al momento dell’acquisto del bene.
Se, come è probabile, il software Tesla fosse protetto da un Drm, cioè da un sistema di gestione del copyright digitale, il presunto proprietario dell’autovettura commetterebbe un grave reato se cercasse di impedire la rimozione delle opzioni hackerando la “propria” auto.
Come è possibile? Di chi è la colpa di questa situazione? Come dice V nel capolavoro V for Vendetta, “per trovare il responsabile, non avete che da guardarvi allo specchio”.
Si, perché l’aver permesso, negli ultimi due decenni, che questa situazione si creasse senza aver tentato nulla per impedirlo, fa della grandissima maggioranza di coloro che oggi si lamentano della situazione i veri responsabili. Non e’ certamente colpa della aziende e della multinazionali, le quali in maniera perfettamente legale hanno fatto e fanno il loro mestiere: creare dividendi per i propri azionisti senza riguardo per nessun’altra considerazione.
L’unica verità nella notizia è che forse, dal punto di vista economico, Tesla ha fatto una fesseria, perché perderà in immagine molto più di quello che guadagnerà con le licenze software aggiuntive che potrà vendere. Ma questo è un problema di Elon Musk e degli azionisti Tesla, non certo nostro. Il nostro problema è di essere, colpevolmente, schiavi di questa situazione che abbiamo contribuito a creare.