Negli ultimi tempi, il viavai di streamer bannati (e non sempre riammessi) da Twitch per aver trasgredito le sue regole non accenna a placarsi portando con sé un lungo strascico di polemiche e riflessioni. Per citare alcuni casi emblematici, a gennaio sono state allontanate dalla piattaforma la streamer virtuale CodeMiko, accusata di essersi presentata in diretta ubriaca (sì, è un avatar), e la bodypainter Delightfully Dani, mentre la scorsa settimana è toccato al giovane gamer di Fortnite Cody Conrod, in arte Clix. Giocando in casa, fresco di ban – e di rientro – è il seguitissimo Cerbero podcast, canale da quasi 235 mila followers che è da poco tornato live dopo qualche settimana di stop. Ma quindi, dove sta il problema? Cosa scatena questa ondata di ban? Quale potrebbe essere una soluzione congrua e che non scontenti nessuno?
UN GIOIELLO DA 17 MLD DI ORE DI VISUALIZZAZIONE
Piccolo vademecum per i neofiti del termine: Twitch è la prima piattaforma di live streaming (di proprietà di Amazon dal 2014), dedicata al mondo del gaming, che negli ultimi anni ha diversificato i propri contenuti spaziando dalla musica allo sport, dalla lettura, il cinema, i viaggi a qualsiasi argomento voglia essere discusso dai creator con la propria community. Un’espansione che l’ha trasformata nella nuova frontiera dell’intrattenimento live a livello globale, tanto da aver appena concluso un anno da record con 17 miliardi di ore di visualizzazione, in aumento dell’83% rispetto ai 9 miliardi del 2019, come dimostrano i dati di StreamElements e Arsenal.gg.
Una copia di YouTube? Sebbene nel tempo le contaminazioni reciproche abbiano portato le due piattaforme ad assumere connotati sempre più simili, le differenze sono sostanziali, ma soprattutto strutturali: YouTube rimane il principale servizio di video sharing, nonché secondo motore di ricerca dopo Google (la sua controllante), mentre Twitch nasce con l’unico intento di produrre contenuti in diretta. Per non parlare delle differenze dei due media in termini di monetizzazione per i creator, che troverebbero nella piattaforma dalle tonalità violacee una più proficua fonte di reddito. Come riporta lifehacker.com, oltre agli introiti da subscription e donazioni, Twitch pagherebbe cifre più elevate anche per le visualizzazioni degli annunci.
LA MINACCIA DEI BAN
Come tutti i social media, anche Twitch è disciplinato da un regolamento, che risulta però molto più stringente rispetto a quello delle piattaforme “cugine”. Per tutelare l’integrità della community, Twitch si riserva infatti il diritto di sospendere in qualsiasi momento gli account che svolgono attività e/o pronunciano frasi inopportune, immorali o rischiose, rimuovendo i contenuti stessi, emanando avvertimenti agli account e/o sospendendoli. In gergo, bannandoli.
Se su Facebook o Twitter un utente viene difficilmente allontanato dopo la prima trasgressione, su Twitch basta un termine equivoco o un atteggiamento allusivo a far scattare il ban anche con effetto immediato. Una sentenza incontestabile ed estremamente complicata da sovvertire.
L’utente che trasgredisce può incorrere in sospensioni temporanee (con una durata da uno a 30 giorni) o a tempo indeterminato senza possibilità di fare ricorso. Si tratta, in gergo, dei cosiddetti “permaban”, temutissimi dagli streamer che hanno fatto del proprio canale la loro primaria fonte di remunerazione grazie alle iscrizioni (“sub”), donazioni e sponsorizzazioni. Oltre a non potere accedere alla piattaforma, né utilizzare i suoi servizi, un utente bannato non può nemmeno apparire in un canale di terze persone mentre è sospeso, pena il bando del canale da cui è ospitato. Ma su questo aspetto ci soffermeremo tra poco.
NUOVE STRETTE
Il regolamento di Twitch snocciola una lista sterminata di comportamenti passabili di ban, come le violazioni della legge e della privacy, le violenze e le minacce, i comportamenti autolesionisti, la nudità, la pornografia e molte altre azioni deplorevoli, senza però addentrarsi troppo nei dettagli.
Dal 22 gennaio scorso, nell’universo viola di Twitch sono entrate in vigore nuove norme comportamentali a integrazione delle già esistenti politiche in materia di molestie e manifestazioni di odio. Motivo delle ulteriori restrizioni, come ha spiegato l’azienda in un post del suo blog, sono le offese che colpiscono di frequente alcune categorie, tra cui le donne, i membri della comunità LGBTQIA+, gli indigeni e le persone di colore.
Non solo azioni: ad essere punite sono anche le espressioni ritenute lesive della dignità altrui. Dall’ultimo aggiornamento, tre nuovi termini possono comportare l’esclusione immediata dei creator dalla piattaforma (se utilizzati con accezione negativa e in riferimento alla sfera sessuale): “vergine“, “incel” (crasi di “involuntary” e “celibate”, involontariamente celibe) e “simp” (acronimo di Sucker Idolizing Mediocre Pu*sy), che sta a indicare un soggetto di sesso maschile che si mette in una posizione di inferiorità nei confronti di una donna per cui prova attrazione.
Lato gaming, ad essere messo al bando è stato anche il tag “blind playthrough” che indicava le cosiddette “partite alla cieca”, modo utilizzato dai gamer per indicare la prima partita di un videogioco a cui non hanno mai giocato prima. Un’etichetta di uso comune nel mondo dei videogame, ora ritenuta discriminatoria nei confronti delle persone non vedenti e per questo modificata.
REGOLE PIÙ CHIARE
In molti lamentano il fatto che le regole di Twitch siano nebulose, indefinite e talvolta contraddittorie. Il regolamento detta infatti linee comportamentali generiche e dispersive che risultano difficili da ascrivere a casi specifici e che spesso vengono applicate in modo poco equo. Inoltre, le singole espressioni “bandite” non sono elencate da nessuna parte, ostacolando la corretta osservanza del regolamento da parte dei creator, costretti a muoversi come veri e propri equilibristi tra i contorni sfumati di questo regolamento.
A tal proposito, lo scorso dicembre il mondo del gaming è stato travolto da una protesta virtuale e pacifica impugnata da un nutrito gruppo di streamer (tra cui il rapper Fedez) in seguito al permaban del “collega” Sdrumox, accusato di aver utilizzato espressioni razziste. Ne è nato un manifesto che ha fatto da sfondo al #nostreamday, una giornata di sciopero in cui gli streamer non sono andati in live e gli spettatori partecipanti non sono entrati sulla piattaforma.
Attraverso la protesta, gli streamer non hanno contestato il bando, ma le modalità con cui esso è stato perpetrato. Nel manifesto sono state richieste chiarezza e trasparenza delle regole, parità di trattamento e maggiore consapevolezza circa le pesanti conseguenze che potrebbe avere un ban permanente sulla vita di uno streamer professionista.
“Le modalità con cui Amazon decide chi, in che modo e per quanto bannare uno streamer è assolutamente discrezionale”, scrivono gli streamer che hanno aderito all’iniziativa. “Il problema, infatti, è che in questo modo il rischio di errori nel giudizio, da parte di chi si fa carico della decisione, può essere frequente. Gli streamer inciampano spesso in errori involontari, ma questi potrebbero essere tranquillamente evitati se ci fosse maggiore chiarezza e maggiore trasparenza. E’ capitato che vari streamer non fossero sanzionati per determinate azioni speculari a quelle di altri streamer precedentemente sanzionati. Una regola o vale per tutti o non vale per nessuno, lavorare in queste condizioni è davvero difficile”.
Un esempio citato dal manifesto è il divieto di “pubblicizzare” uno streamer bannato. Non è chiaro cosa si intenda, né se si possa o non si possa nominare in alcun modo un utente oscurato. “Quindi – chiedono gli streamer – se qualcuno reputasse ingiusto il ban di un collega, non potrebbe parlarne?”. Per un creatore di contenuti, il diritto alla critica dovrebbe sempre essere concesso, seppur con le dovute cautele. Lo stesso Fedez in una recente live ha dichiarato che su Twitch vige “omertà assoluta”.
Maggiore chiarezza è stata chiesta anche sul tema legato al codice di abbigliamento dei creator durante le dirette: alcuni di loro sono stati sanzionati per aver indossato capi giudicati “sessualmente espliciti”, ma molti altri, per aver indossato i medesimi indumenti in momenti diversi, non hanno ricevuto la stessa accusa. “Per questo chiediamo che non ci si affidi al caso per esprimere un giudizio. Non possiamo lavorare andando a tentativi o sperando che la moderazione sia clemente”.
POLITICAMENTE (S)CORRETTO
Oltre alle suddette ambiguità, navigando sulla piattaforma accade frequentemente di imbattersi in espressioni colorite al punto da suonare blasfeme che tuttavia rimangono impunite. Se gli streamer italiani stanno spesso attenti a evitare argomenti discriminatori e scottanti, è altrettanto vero che sul fronte delle bestemmie molti di loro danno (purtroppo) libero sfogo alla “creatività”.
Il motivo è più semplice – eppure contraddittorio – di quel che sembri: Twitch è un’azienda statunitense improntata su un unico regolamento universale, tradotto nelle lingue dei Paesi in cui è attiva, ma non declinato sulla base degli usi e costumi di ogni singolo Stato. Nella cultura anglosassone, la bestemmia non assume la connotazione propria della lingua italiana ed è più facilmente tollerata. Ragion per cui non rientra tra le espressioni che potrebbero portare al ban.
IL NODO DEL COPYRIGHT
Un altro nodo da sciogliere, che ha dato adito a non poche polemiche, è quello relativo ai diritti d’autore legati alla musica. Stando al regolamento di Twitch, non è infatti permesso, durante le dirette, trasmettere tracce musicali coperte da copyright, che vengono intercettate da un sistema di audio-censura e di frequente silenziate una volta trasformate in clip. Un divieto esteso anche alle musiche dei videogiochi – spesso dei semplici brani o suoni ambientali – ridotte al silenzio dal cosiddetto “effetto mannaia”.
Per mitigare questa criticità, lo scorso autunno la piattaforma viola ha introdotto Soundtrack by Twitch, uno strumento che consente agli streamer di usare liberamente musiche di sottofondo non protette da copyright. Un passo avanti, che tuttavia ha sollevato alcune controversie. A innescare il malcontento dei creator è stata anche l’eliminazione improvvisa di innumerevoli video presenti sulla piattaforma, alcuni dei quali pubblicati anni prima, senza avvertimenti né delucidazioni.
Le case discografiche hanno infatti per mesi subissato l’azienda di reclami per violazione del copyright, accusandola di “non far nulla in risposta alle migliaia di avvisi che ha ricevuto, né di riconoscere di averli ricevuti, come fatto in passato”, si legge in una lettera spedita al fondatore di Amazon, Jeff Bezos, da numerose associazioni discografiche statunitensi, come riporta Variety. Nel mirino delle major è finito anche Soundtrack, che mette a disposizione milioni di brani, tra cui quelli di label indipendenti: “Il servizio – prosegue la lettera – non ha accordi con le tre major, né con molti altri editori e titolari di diritti”. Secondo i firmatari, inoltre, Twitch non rispetterebbe la normativa americana sul copyright della musica.
La replica di Twitch non si è fatta attendere: la piattaforma sostiene di pagare regolarmente i diritti ai compositori e agli autori della musica per uso pubblico e ribadisce che Soundtrack è in possesso di tutte le licenze necessarie.
Insomma, la questione rimane tuttora spinosa e non sembra essere ancora giunta a una conclusione.
LAVORI IN CORSO?
Che Twitch sia la piattaforma-rivelazione degli ultimi anni, sempre più affermata e apprezzata anche in Italia, è certamente indubbio. In molti tuttavia si domandano perché l’azienda non abbia ancora formulato linee guida più precise, trasparenti e dettagliate che regolamentino equamente e limpidamente la produzione dei contenuti placando l’afflusso di polemiche di streamer e spettatori che spesso si sono riversate contro il medium.
Indiscrezioni di stampa hanno riportato che la piattaforma sarebbe al lavoro da quasi un anno per rendere meno spinoso il processo di segnalazione delle infrazioni e di sospensione degli utenti che non rispettano le regole. E noi, da fan di Twitch, ci auguriamo che i lavori siano presto ultimati con buoni risultati.
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