Dopo una snervante attesa, è arrivata la conferma: il candidato democratico ha vinto le elezioni Usa 2020, battendo Donald Trump. Cerchiamo di conoscerlo meglio, tra carriera politica e vita personale
Joe Biden, avendo ottenuto oltre 74 milioni di voti, è in assoluto il candidato più votato nella storia delle elezioni statunitensi. Nessuno ne ha mai presi di più, basti pensare che Donald Trump, quattro anni fa, vinse con circa 11 milioni di voti in meno. Biden ha vinto una corsa alla presidenza contro un presidente che mirava a confermare il proprio mandato per la seconda volta, e recentemente il presidente in carica ci era sempre riuscito: Barack Obama ha ottenuto un secondo mandato nel 2012, prima di lui George W. Bush l’aveva fatto nel 2004 e ancora prima Bill Clinton ottenne un secondo mandato nel 1996. Biden ha interrotto questo trend, impedendo altri quattro anni di presidenza Trump. Ma se le cose stanno così, com’è che il sentore comune è che sia stata una mezza vittoria di Trump? I motivi sono due: da una parte alcuni (ma non gli esperti più credibili) si aspettavano una vittoria di Biden ancora più netta (la cosiddetta Blue Wave, l’ondata di voti democratici, che non c’è stata), dall’altra continuiamo a ignorare che se il voto statunitense funzionasse su base nazionale, e cioè sul numero totale di voti, non ci sarebbe stata storia, Biden avrebbe stravinto. Proprio come avrebbe vinto Hillary Clinton quattro anni fa, nel 2016, visto che prese ben due milioni di voti in più di Donald Trump. Insomma, se ci sembra una vittoria risicata e ottenuta stato per stato, è soltanto per via di come funziona il sistema elettorale federale statunitense, non per via della candidatura di Biden.
Ha vinto Joe Biden, ma sappiamo perché “tutti parlano di Trump”: è un personaggio bizzarro, a tratti grottesco, che ha stravolto il modo in cui pensavamo alla comunicazione politica (basti pensare all’accusa di brogli) e alla presidenza degli Usa. Ma a voler parlare di Joe Biden, di motivi ce ne sono eccome: è il candidato che ha vinto riuscendo a riconquistare il voto degli stati del Midwest, come Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, stati che nel 2016, per una manciata di voti, aveva vinto Donald Trump. In un certo senso in questo modo ha riportato le cose a un loro ordine naturale, visto che tra un ricco oligarca newyorkese e un politico famoso per essere tra i meno abbienti di tutto il Senato, e che viene proprio dal Midwest, è più comprensibile che sia il secondo a ottenere la maggioranza dei voti nell’area. E questo nonostante il famoso scontento popolare e la conseguente voglia di anti-politica.
Oggi pensiamo a Joe Biden come al 46esimo presidente degli Stati Uniti, il nuovo Potus, colui che ha vinto la corsa alla Casa Bianca durante una pandemia globale (e lo ha fatto promuovendo l’idea di credere nella scienza e non nella dietrologia complottista), ma Biden è in politica da decenni e ha una lunga carriera alle spalle che merita attenzioni anche perché può dirci qualcosa su come saranno, questi prossimi quattro anni di sua presidenza. In Europa abbiamo iniziato a conoscerlo da vicepresidente di Barack Obama, con interviste televisive come quella in cui sosteneva di non avere “nessun problema con gli uomini sposati con uomini, o con le donne sposate con donne”.
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Un’intervista spinse lo stesso neo presidente Obama a prendere posizione a favore dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, e che divenne celebre anche per i toni informali dello stesso Biden: “Penso che su questo Will & Grace abbia educato l’opinione pubblica americana più di quasi qualsiasi altra cosa. Le persone hanno istintivamente paura delle cose diverse, ma ora stanno iniziando a capire”.
Biden ha 77 anni, sulla sua anzianità durante questa campagna elettorale si è detto molto, sia perché il suo avversario (in realtà solo di poco più giovane) ha potuto usarla per accusarlo di soffrire di demenza, oltre che di essere lento e privo di vigore. Sia perché, effettivamente, un presidente con un’età che si avvicina agli ottant’anni ha delle possibili implicazioni. In un sistema elettorale come quello statunitense, infatti, non si vota mai in modo anticipato, nemmeno se il presidente dovesse morire, e questo significa che se Biden dovesse venire a mancare sarebbe la sua vice, Kamala Harris, a occupare lo studio ovale, cioè l’ufficio presidenziale nell’ala ovest della Casa bianca.
Durante questi 77 anni, però, Biden è stato una figura importante della politica americana già prima dei due mandati da vicepresidente. La sua candidatura al senato fu vista da molti come un azzardo: Caleb Boggs, un navigato e celebre senatore repubblicano, nel 1972 si ricandidò e nessun democratico lo sfidò. Tranne Joe Biden che al tempo aveva solamente 29 anni e due anni di esperienza politica minore, da rappresentante della sua contea. Oltre all’età e l’inesperienza la sua mossa fu vista come un azzardo perché partiva senza fondi: fu la sua famiglia, soprattutto sua sorella Valerie, a gestire e finanziare la campagna per la sua corsa al senato, e i sondaggi lo davano in enorme svantaggio, ma a sorpresa vinse di poco più di un punto percentuale. Solo qualche mese prima delle votazioni era in svantaggio di 30 punti. Biden piaceva ai giovani, e riuscì a strappare un seggio storicamente in mano ai repubblicani soprattutto grazie alle sue tante iniziative nello stato del Delaware, in cui si è trasferito con la famiglia, a soli otto anni, da Scranton, una poco nota – se non per la serie comica The Office, che qui si svolge – città industriale della Pennsylvania.
Durante i suoi 36 anni da senatore (lasciò il seggio nel 2009, diventando il più giovane senatore ad aver concluso sette mandati consecutivi) ha condotto battaglie molto sentite, soprattutto in tema di diritti civili: portano la sua firma diversi provvedimenti a tutela degli afroamericani e delle donne, si è sempre dichiarato contrario alla guerra in Vietnam, e a favore della limitazione della vendita delle armi, una battaglia molto dura da combattere negli Usa.
Della sua vita sappiamo molto, sia perché Biden è un uomo loquace e affabile, sia perché il sistema delle primarie statunitense sembra fatto appositamente per aumentare la trasparenza dei candidati: la sfida interna ai partiti fa in modo che gli stessi sfidanti democratici che hanno poi dato il loro sostegno a Biden, ne abbiano messo in luce le ombre e i difetti. Sappiamo, per esempio, che Biden fu, nell’amministrazione Obama, il più duro nell’accusare Julian Assange, definendo l’attivista di WikiLeaks un “terrorista hi-tech”. Sappiamo anche che nella sua carriera da senatore fu accusato di molestie da una sua collaboratrice, Tara Reade: le accuse, rivolte a Biden per un episodio che sarebbe avvenuto negli anni Novanta, si sono però dimostrate estremamente deboli, con incongruenze e momenti in cui la stessa Reade si è contraddetta o ha ritrattato. La prima versione della vicenda è che nel 1993 Biden spinse contro un muro Reade, le baciò il collo e le infilò una mano sotto la gonna, per poi fermarsi quando lei lo respinse. Le inchieste più complete, condotte soprattutto da Vox, Pbs Newshour e New York Times, hanno però notato incongruenze e stranezze, come il fatto che lo spazio appartato dell’edificio in cui sarebbe avvenuta la molestia, vicino al Senato, non sembra esistere; oppure che Reade ha, per un decennio, sostenuto di essere un’esperta di violenza domestica diplomata all’università di Seattle, una certificazione che ha usato nei tribunali, ma che apparentemente non ha mai avuto.
Di Joe Biden sappiamo anche che è un politico diverso dal suo grande amico Barack Obama, colui che gli concesse a sorpresa la più alta onorificenza civile nel 2017. Obama infatti è attentissimo alla sua dialettica e alla comunicazione, tanto preparato da essere considerato da alcuni eccessivamente cerebrale, Biden invece è decisamente più informale e spontaneo, prepara meno i suoi discorsi e questo lo espone a errori e scivoloni, errori anche di poco conto ma che nell’epoca dei meme e dei social network possono avere effetti a valanga impossibili da ignorare.
La spontaneità informale dei discorsi di Biden viene da una sua storia molto particolare: era balbuziente e non lo ha mai nascosto, nonostante questo difetto di pronuncia da ragazzo decise di esporsi, parlare in pubblico ogni volta che poteva e così, con questa auto-imposta assenza di paure, nel tempo è riuscito a vincere la balbuzie. Il tema è tornato agli onori delle cronache più volte, come quando il neoeletto presidente si è ritrovato alla fine dei suoi comizi o eventi pubblici giovanissimi balbuzienti che hanno voluto incontrarlo per farsi dare qualche consiglio, anche a favore di telecamera.
La balbuzie, però, non è stato certo il dramma peggiore della vita di Joe Biden: nel 1972, quando era un senatore appena eletto, sua moglie e una delle sue figlie morirono in un incidente stradale. Sua figlia aveva solo un anno. Anche gli altri suoi due figli, Hunter e Beau, rimasero gravemente feriti e Biden fu convinto dai suoi colleghi a non lasciare il seggio. La sua vita, da quel momento, cambiò, la fede cattolica vacillò per un lungo periodo e il giovane senatore cominciò a tornare ogni sera dai suoi figli in Delaware, usando il trasporto pubblico, quasi sempre il treno. Anche per questa sua esperienza Biden divenne un grande sostenitore dell’implementazione del sistema ferroviario negli Usa, e anche alla luce di quell’episodio va letto il suo rapporto con la fede. Il 18 dicembre, data dell’incidente che uccise sua moglie e sua figlia, Biden non lavora in loro memoria.
A voler approfondire la figura di Biden c’è un libro, lo ha scritto lo stesso Biden e si intitola Papà, fammi una promessa, si trova anche in italiano e uno dei passaggi diventati più celebri è sicuramente questo:
Sapevo che c’erano molti buoni motivi per non candidarmi, su tutti la salute di Beau. E avevo la sensazione che i miei figli, il cui giudizio per me contava sempre di più, non volessero che proprio in questo momento delicato sottoponessi la nostra famiglia al calvario di una campagna elettorale. ‘Papà, non hai capito niente’, disse Beau in cucina. ‘Ti devi candidare. Io voglio che ti candidi’.
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