Da qualche giorno il settore degli sviluppatori di videogiochi è in subbuglio per colpa di Unity: la società che sviluppa l’omonimo motore grafico, uno dei più diffusi soprattutto se si guarda al mobile e all’indie, ha annunciato un aumento di prezzi, ma soprattutto delle nuove condizioni in un certo senso retroattive che hanno fatto decisamente arrabbiare gli sviluppatori, tanto che si prospettano molte azioni che potremmo definire radicali se non ci sarà un passo indietro.
Per ora Unity, che da circa nove anni è capitanata dall’ex amministratore delegato di EA John Riccitiello, non ha dato alcuna indicazione di cambiare idea – e quel che è peggio ha rilasciato risposte contraddittorie e confuse alle molte richieste di chiarimenti degli sviluppatori. Il nodo fondamentale della questione è che Unity non si è limitata ad aumentare i prezzi, ma ha anche aggiunto quella che potremmo definire una “tassa sui download”.
Oltre una certa soglia (di download e ricavi), gli sviluppatori (o i distributori digitali, come vedremo) dovranno versare qualche centesimo ogni volta che un utente scarica il gioco. Non solo è molto difficile ottenere un conteggio preciso e affidabile di questo parametro, ma Unity ha detto che questa clausola, che entrerà in vigore nel 2024, si potrebbe considerare retroattiva: Unity infatti considererà i download e il fatturato complessivo dell’intera vita del gioco, anche se gli addebiti interesseranno solo i download avvenuti dopo l’entrata in vigore della nuova regola.
Le soglie variano in base al tipo di abbonamento a Unity scelto e anche al mercato di riferimento. Per l’abbonamento base, Unity Personal, si parla di 200.000 download totali e 200.000 dollari di ricavi negli ultimi 12 mesi. Ogni download costerà 2 centesimi di dollaro. Come è facile immaginare, per alcuni sviluppatori potrebbe significare ritrovarsi obbligati a sostenere costi anche significativi in modo del tutto imprevisto; Unity tuttavia difende la propria scelta dicendo che il provvedimento riguarderà solo il 10% del totale dei suoi clienti – la contro-argomentazione è che sì, diciamo che è vero, ma questo 10% rappresenta gli sviluppatori più prolifici e di successo, e il rischio molto concreto è di allontanarli verso un’altra piattaforma.
È stata in particolare la scelta di legare la nuova tassa a un parametro controverso come il numero di download a scaturire le proteste degli sviluppatori – e, come dicevamo, la comunicazione di Unity nei giorni immediatamente successivi all’annuncio è stata tutt’altro che chiara, buttando altra benzina sul proverbiale fuoco. Specialmente quando si chiedevano chiarimenti su scenari particolari e specifici.
Per esempio, c’è stato un momento in cui pareva che Unity avrebbe conteggiato anche se lo stesso utente ri-scaricava o reinstallava il gioco, poi si è parlato solo di variazioni hardware significative, poi forse che non si sarebbe conteggiato ma nel caso di installazioni su più dispositivi sì. Scenario praticamente analogo quando si parla di accessi anticipati, play day, Beta – perfino copie piratate! Per quanto riguarda servizi in abbonamento come il Game Pass di Microsoft, pare che Unity intenda bussare direttamente alla porta del distributore (in questo caso quindi Microsoft). Unity sembra aver addirittura detto che non può avere un’idea esatta al 100% sul numero dei download, ma che si baserà su proprie stime interne Ma, ribadiamo: è tutto molto caotico ed è difficile capire quale sia la versione definitiva dei fatti.
Unity, dicevamo, è uno dei motori grafici più diffusi al mondo, soprattutto in campo mobile e indie, e si trova quindi alla base di moltissimi giochi di enorme successo: Pokémon Go, Genshin Impact, Fall Guys, Cuphead, Among Us, Ori and the Blind Forest, Hearthstone, Cities Skyline, Escape from Tarkov, Monument Valley, Beat Saber e perfino Crossy Road. Moltissimi sviluppatori ed editori, anche grossi, hanno espresso pubblicamente sui loro canali social il disappunto nei confronti di questa mossa. E dicono che anche nell’eventualità di un dietro front ormai il rapporto di fiducia si è incrinato, e tornare a com’erano le cose prima sarà difficile.
Alcuni studios hanno addirittura annunciato che, a prescindere da come andrà questa vicenda, abbandoneranno il motore in favore di uno alternativo, come per esempio Unreal Engine, mentre uno dei più grossi editori indie al mondo ha detto che in futuro, quando presenteranno i loro nuovi giochi, gli sviluppatori faranno bene a precisare con che motore intenderanno realizzarlo. Non è chiaro cosa potrebbe succedere ai giochi già pubblicati, ma le conseguenze peggiori saranno per quelli ancora in pieno sviluppo – toccherà sostanzialmente ripartire da zero dopo, buttando via anni di lavoro fatto su Unity.
Riccitello, del resto, non è per niente estraneo a trovate decisamente impopolari quando si tratta di toccare i portafogli dei giocatori. Sua fu l’introduzione delle famigerate loot box in FIFA 09 e altri giochi EA dell’epoca, per esempio; più di recente aveva fatto scalpore la sua idea, fortunatamente mai implementata, di far pagare gli utenti per ricaricare l’arma in Battlefield; e ancora ci si ricorda di quando diede dei “fo****i idioti” gli sviluppatori riluttanti a implementare schemi di monetizzazione fin dalle prime fasi di creazione di un gioco.
Più in generale possiamo dire che l’accaduto ha puntato i riflettori sul rapporto di stretta dipendenza che gli studios hanno con gli sviluppatori di motori grafici. Lo sviluppo di un gioco può richiedere diversi anni, durante i quali si deve sempre un po’ sperare che tutto vada bene con il proprio partner tecnico. Del resto, più la tecnologia evolve più i videogiochi si fanno complicati, e sono davvero pochi i gruppi che possono permettersi di svilupparne uno in proprio. Perfino CD Projekt RED, uno degli studios più grossi, ricchi e apprezzati attualmente, ha ritenuto di abbandonare il suo RED Engine, in favore di Unreal Engine di Epic Games, dopo le pessime condizioni in cui versava Cyberpunk 2077 al debutto.
In tutto questo, resta naturalmente da capire quanto effettivamente sia legale la decisione di Unity di applicare clausole retroattive al proprio contratto d’uso: è molto probabile che almeno l’Unione Europea vorrà vederci chiaro, per non parlare della notoriamente molto agguerrita divisione legale di Microsoft e degli altri colossi tech. Per il momento, pare che Unity si sia vista costretta a chiudere due uffici e cancellare un’assemblea interna plenaria, in cui Riccitello in persona avrebbe parlato a tutto l’organico, per via della ricezione di quelle che sono state definite da Bloomberg “minacce di morte credibili”. Vale la pena ricordare che nell’estate scorsa la società è stata una delle tante a licenziare personale nella fase post-pandemia (circa 200 persone, il 4% del totale), e che si vociferava una prospettiva di vendita alla software house americana Applovin per 17 miliardi di dollari.
UNITY SI SCUSA E PROMETTE MODIFICHE
Tramite un messaggio su X, Unity chiede “scusa per la confusione e il malumore” causato dall’annuncio della scorsa settimana, e promette modifiche al nuovo regolamento. Nessun dettaglio in più, per ora, ma dovremmo conoscere tutte le novità entro un paio di giorni. Citando fonti interne, tuttavia, Bloomberg è in grado di fornire già ora qualche importante anticipazione – la “download tax” rimarrà, ma:
- Niente retroattività. Il contatore dei download partirà da zero quando la nuova policy entrerà in vigore.
- Invece di fare affidamento su uno strumento/algoritmo statistico sviluppato in proprio, saranno gli sviluppatori a riportare il numero di download.
- Per i giochi/clienti con oltre 1 milione di dollari di ricavo, la “download tax” sarà limitata al 4%. Non è chiaro se ci saranno limiti, e quanti, per i giochi con fatturati inferiori.
Sempre secondo la fonte, le intenzioni di Unity sono sempre state quelle di puntare ai giochi più grandi per fatturato – pensiamo per esempio a colossi del calibro di Pokémon Go e Genshin Impact. Per ora nessuna delle parti coinvolte ha voluto rilasciare dichiarazioni pubbliche.
Sono da pochissimo ufficiali tutti i dettagli del nuovo modello di business. Si tratta di un cambiamento piuttosto drastico rispetto a quanto annunciato inizialmente. Andiamo per punti e sinteticamente:
- Intanto la “download tax” si trasformerà, in un certo senso: non si valuterà più il numero di volte che un gioco viene scaricato, ma gli sviluppatori potranno scegliere tra una tassa forfettaria, pari al 2,5% di tutti i ricavi, oppure una cifra non specificata in base al numero di nuovi “engagement” (non è perfettamente chiaro cosa questo termine significhi) mensili.
- Gli abbonati a Unity Personal non saranno soggetti alla “download tax”.
- Il limite per l’abbonamento a Unity Personal salirà a 200.000 dollari di fatturato.
- I giochi che fatturano meno di 1 milione di dollari in 12 mesi non saranno soggetti alla “download tax”.
- La tassa si applicherà solo ai giochi realizzati dalla prossima versione di Unity in avanti, quindi niente retroattività.
- L’aggiornamento di Unity non sarà obbligatorio: gli sviluppatori potranno scegliere di rimanere su quella attuale.
- Unity rinnova la promessa, fatta nel 2019 e poi in un certo senso rimangiata, che gli sviluppatori potranno fare fede ai termini di servizio della versione del motore che stanno usando nei loro giochi.
Nelle scorse ore la società ha fatto ulteriore chiarezza sulle domande più frequenti poste dagli sviluppatori relative ad alcuni casi limite/specifici del nuovo modello di fatturazione. La novità principale è che abbiamo una definizione di “engagement”: “un nuovo utente legittimo del vostro software su qualsiasi canale”. Legittimo è il termine chiave: se un utente pirata un gioco, non verrà considerato ai fini del conteggio.
Per il resto, durante la Q&A su YouTube (potete seguirla qui di seguito, se volete, Marc Whitten ha parlato delle ragioni che hanno spinto la società ad annunciare il nuovo business model, e perché non si è optato per un classico sistema di revenue sharing; in soldoni, Unity voleva sviluppare un sistema che fosse più equo soprattutto nei confronti degli sviluppatori più piccoli, cercando di puntare ai giochi che fatturano di più. Ma chiaramente l’idea non ha funzionato; Whitten ha ribadito le proprie scuse e ha ammesso che si sarebbe dovuto parlare di più con gli sviluppatori. Anche se la società si è cosparsa il capo di cenere, ora la strada per recuperare la fiducia è molto in salita; pare ormai assodato che alcuni clienti saranno persi a prescindere.
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