Valencia, Utiel e Chiva, oltre a tutte le aree limitrofe, sono sommerse dal fango e annegate nella disperazione dei cittadini che in queste ore stanno riprendendo in mano quello che resta della loro vita, strappandola pezzo a pezzo dalla terra impregnata di acqua.
Uno scenario a noi fin troppo familiare, che non può non entrare in risonanza con le immagini, vecchie di poche settimane, dell’alluvione in Emilia Romagna (la seconda, la prima è avvenuta a maggio 2023).
Cosa sta succedendo nel nostro Mediterraneo? Come è possibile che questo braccio di terra e mare stia sperimentando – contemporaneamente – siccità e alluvioni?
LE DUE FACCE DEL CLIMA MEDITERRANEO
A scuola ci è stato insegnato che il clima mediterraneo è caratterizzato da estati secche con elevato rischio di siccità ed inverni piovosi con temperature miti.
Questa definizione, che fino a 30 anni fa era perfettamente calzante, adesso descrive più un ricordo che la realtà in cui viviamo.
Per capire cosa sta succedendo e cosa accomuna fenomeni estremi diametralmente opposti come siccità e alluvioni, dobbiamo fare riferimento a DANA (Depresión Aislada en Niveles Altos) acronimo spagnolo entrato nel gergo comune nei primi anni 2000 e che indica lo “scontro” fra un accumulo stazionario di aria estremamente fredda e una corrente di aria estremamente calda.
Quando questo cuscinetto di aria fredda resta bloccato in un determinata area, generalmente in quota, forma una depressione chiusa che “mette radici” e interessa ampie zone; nel momento in cui cuscinetto viene “punto” da una corrente calda, la differenza di temperatura e pressione provoca la pioggia.
Nel caso spagnolo, il cuscinetto di aria fredda proveniente dal Polo Nord è entrato in collisione con l’aria calda e umida spinta dal Levante.
Prima di DANA, l’espressione spagnola che indica queste forti piogge era Gota Fría (letteralmente, Goccia Fredda) e indicava una “una depressione con aria fredda all’interno, che si stacca dal flusso delle correnti d’aria che vanno da ovest verso est e scende alla latitudine della Spagna”, come spiegato da Antonello Pasini, fisico del clima presso il CNR, durante un’intervista rilasciata ad Ansa.
La differenza fra DANA e la Gota Fría non va’ quindi cercata nella natura del fenomeno (che per quanto rato, capitava) ma nella sua violenza e nell’estensione, sempre maggiore, delle zone colpite.
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Perché, come abbiamo spiegato, la Goccia Fredda era una parte di depressione che si staccava dal resto; DANA, invece, è un “all in”.
Pasini ha commentato:
… Questi eventi meteorologici sono tanto più violenti quanto più forte è il contrasto termico fra le due zone che entrano in collisione. A causa del cambiamento climatico, sul Mediterraneo l’anticiclone delle Azzorre viene sostituito dagli anticicloni africani, molto più caldi. L’evaporazione fornisce all’atmosfera più vapore acqueo, l’acqua del mare – più calda – fornisce più energia all’atmosfera. Questo vapore e questa energia alla fine vengono scaricati violentemente, con pioggia e vento.
Questa sostituzione, che vede le abituali correnti mediterranee lasciare il posto a quelle africane, non comporta solo l’aumento di frequenza di fenomeni come DANA ma anche, come sperimentiamo sistematicamente da giugno a settembre, temperature estreme, creando una letale alternanza (geografica e temporale) di siccità e desertificazione da una parte, piogge violente e allagamenti dall’altra.
UN ANNO DI PIOGGIA IN OTTO ORE
I dati aggiornati a mercoledì pomeriggio hanno restituito un bilancio terrificante, con 140 vittime accertate a Valencia e nelle regioni limitrofe di Castilla-La Mancha e Andalusia.
I sindaci delle comunità colpite non hanno mancato ai loro doveri civici, stando accanto ai loro concittadini, prestando soccorso e organizzando le operazioni di sgombero e di pulizia.
Ricardo Gabaldón, sindaco di Utiel, si è fatto portavoce della delicata situazione che la sua comunità sta vivendo, descrivendo la giornata di martedì come la “peggiore della sua vita” in cui lui e altri cittadini si sono ritrovati:
Intrappolati come topi, con auto e cassonetti della spazzatura che scorrevano lungo le strade allegate. L’acqua stava salendo fino a 3 metri, impedendoci di metterci in salvo.
Al quotidiano Las Provincias, il sindaco ha inoltre riferito che alcuni residenti non erano sopravvissuti alle inondazioni e che sono in corso indagini per accertare il numero esatto delle vite umane perse.
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Il cambiamento climatico è un loop che non ci dà scampo, che alterna caldo record e a piogge devastanti. Questa alternanza lascia il terreno in condizioni critiche: spaccato dalla siccità, non riesce a gestire l’acqua di un anno concentrata in otto ore, e, invece di assorbirla, può solo lasciarla scivolare da un’altra parte.
Accanto agli appelli delle Nazioni Unite e di altre Agenzie, anche internazionali, per degli eventi concreti che puntino a ridurre la CO2 nell’aria, raffreddando (o quantomeno smettendo di scaldare) l’atmosfera terrestre, cosa possiamo fare?
La professoressa Hayley Fowler, docente di impatti del cambiamento climatico e direttrice del Centro per la resilienza climatica e ambientale della Newcastle University, ha affermato:
Le inondazioni di Valencia sono un altro campanello d’allarme che il nostro clima sta cambiando rapidamente e che le nostre infrastrutture non sono progettate per gestire questi livelli di inondazioni. L’evacuazione di città e strade che si trasformano in fiumi è ormai una cosa comune in tutto il mondo. Esiste un chiaro collegamento causale con il cambiamento climatico nell’intensificazione delle precipitazioni estreme, con queste ultime che si intensificano a un tasso del 7% per grado di riscaldamento… La domanda che dobbiamo porci non è se dobbiamo adattarci a più di questi tipi di tempeste, ma se siamo in grado di farlo.
NON RASSEGNARSI, MA ADATTARSI
Adattarsi al cambiamento climatico non significa rassegnarsi ad esso, ma tenere sempre alto il livello di guardia, sfruttando ogni strumento utile a garantire la nostra incolumità e quella dei nostri cari e delle nostre proprietà.
Se da un lato, chiaramente, una buona fetta di responsabilità cade sulle spalle della Pubblica Amministrazione, che deve garantire il miglior funzionamento possibile delle infrastrutture cittadine (manto stradale, ponti, alveo fluviale, argini, ecc…) e pensare allo sviluppo di un tessuto urbano che comprenda spazi verdi e non una cementificazione selvaggia, dall’altro una parte di responsabilità è anche dei cittadini.
Le allerte meteo diramate negli scorsi giorni in Spagna sono state, tristemente, in larga parte ignorate, con persone che, invece di spostarsi in zone più sicure, sono rimaste nelle città colpite dalle piogge.
A tal proposito, la professoressa Hannah Cloke, professoressa di idrologia presso l’Università di Reading, ha affermato:
È spaventoso vedere così tante persone morire nelle inondazioni in Europa, quando ancora una volta i meteorologi avevano previsto piogge estreme e avevano emesso avvisi. Tragedie come questa possono essere evitabili, se le persone vengono tenute lontane dalle zone a rischio. Quanto accaduto in Spagna ci suggerisce che il sistema di allerta di Valencia ha fallito, con conseguenze fatali. È chiaro che le persone semplicemente non sanno cosa fare quando si trovano di fronte a un’inondazione o quando sentono gli avvisi. Le persone devono capire che gli avvisi di condizioni meteorologiche estreme per le inondazioni sono molto diversi dai normali bollettini meteorologici. Dobbiamo considerare gli avvisi di inondazione in modo completamente diverso, più come allarmi antincendio o sirene di terremoto e meno come il modo in cui consultiamo le previsioni meteo giornaliere sui nostri telefoni o in TV.