Mentre l’Italia viene additata come pessimo esempio di razzismo in tutto il mondo, la Serie A è venuta a capo dei “buu” a Lukaku e Kessié, stabilendo che a suo dire non è successo nulla
Romelu Lukaku esulta dopo il suo gol in Cagliari-Inter (foto: Getty Images)
Il giudice sportivo dott. Gerardo Mastrandrea si è fatto attendere fino alle cinque del pomeriggio per deliberare che in Verona-Milan semplicemente non è successo niente, circolare, circolare. Avevamo sentito il bordocampista Sky Manuele Baiocchini intervenire in diretta durante la partita, a pochi secondi dal fischio finale, per segnalare “ululati razzisti nei confronti di Kessié, e poco prima anche degli insulti di discriminazione territoriale verso Donnarumma”. Avevamo distintamente sentito con le nostre orecchie un leggiadro “Donnarumma ebreo” volteggiare nell’aere del Bentegodi, per punire il portiere milanista che si stava prendendo qualche secondo di troppo per il rinvio dal fondo. Avevamo ricevuto conferma di quanto sentito da molti testimoni oculari presenti allo stadio, che ci avevano riportato alcune contumelie urlate anche ai giocatori di colore del Milan in panchina, per esempio il portoghese Rafael Leao. Ma nel comunicato del dott. Mastrandrea, che fa seguito al referto firmato dall’arbitro Gianluca Manganiello, non compare il minimo riferimento a episodi del genere.
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Anzi, già che ci siamo: ricordate due settimane fa gli ululati razzisti rivolti all’attaccante interista Lukaku durante Cagliari-Inter, e denunciati pubblicamente dallo stesso Lukaku con un post su Instagram che aveva immediatamente avuto una eco mondiale, essendo Lukaku l’ex centravanti del Manchester United che è soltanto la squadra più tifata al mondo? In quel caso il dott. Mastrandrea aveva preso tempo, annunciando un supplemento d’indagine di due settimane di cui ha reso conto oggi, scrivendo che “i versi da parte di singoli spettatori non sono stati intesi come discriminatori, a causa dei fischi e delle urla” degli altri spettatori. Il senso è: potete fare tutti gli uh uh uh che vi pare, a patto che i vostri compagni di curva fischino e urlino più forte in modo da coprire i vostri ululati. Che è una bella lezione di come si sta al mondo in Italia, se ci pensate.
Nulla dunque è successo, e in effetti sembrava andare in questa direzione il proverbiale Silenzio delle Istituzioni, che nel caso dello sport italiano sono ormai una rassicurante consuetudine. Probabilmente ricorderete anche l’episodio alla fine di Milan-Lazio dello scorso 13 aprile, quando i giocatori neri del Milan Franck Kessié e Tiemoué Bakayoko avevano sventolato la maglietta dell’avversario Acerbi come fosse un trofeo di guerra. Un gesto sgradevole, ma certamente non razzista, per il quale i due responsabili avevano chiesto scusa nel giro di poche ore, accompagnati dalla stessa società del Milan.
In quel caso però erano scesi in campo i due pesi massimi del calcio e dello sport italiano: Gabriele Gravina, presidente della Federcalcio, e Giovanni Malagò, numero 1 del Coni, che avevano auspicato una squalifica che poi non era arrivata (e ci mancherebbe altro). Due episodi di razzismo in due settimane evidentemente non meritano la stessa attenzione di uno sfottò sfuggito di mano. Forse approfittando del prolungarsi della bella stagione, Gravina e Malagò non hanno rilasciato dichiarazioni in merito – fatto notevole in particolare per il secondo, solitamente assai loquace con la bocca e con la penna.
Cogliamo fior da fiore: tra le righe delle notizie sugli arresti a catena nella curva della Juventus, i cui capi stavano da tempo attuando un racket in piena regola verso la società bianconera, si legge che i cori razzisti erano uno strumento di ricatto per ottenere prebende e facilitazioni economiche. È per questo che le società tacciono, o come ha fatto ieri il Verona addirittura negano l’evidenza persino deridendo chi denuncia, e ci sembra di notare una punta di disperazione, come il prigioniero che non può urlare e si scrive “aiuto” col pennarello sulle mani? E cosa deve pensare Lukaku quando legge un comunicato della sua stessa curva che lo invita a non drammatizzare? E cosa devono pensare ancora Lukaku e Kessié quando qualcuno farà loro notare che, per le stesse circostanze, a gennaio l’Inter aveva giocato due partite a porte chiuse, dopo gli ululati a Koulibaly in Inter-Napoli del 26 dicembre 2018? Forse in Italia il razzismo è stagionale, ed esserlo durante le feste di Natale è più grave che a settembre?
I ‘buuu’ a Kessie? Gli insulti a Donnarumma? Forse qualcuno è rimasto frastornato dai decibel del tifo gialloblù. Cosa abbiamo sentito noi?
— Hellas Verona FC (@HellasVeronaFC) September 16, 2019
Nel frattempo continuiamo a chiudere occhi e orecchie e a porci al di fuori del consesso civile internazionale, mentre sempre più giocatori di livello mondiale, agendo in base alla propria coscienza, stanno parlando chiaro. “L’Italia ha un problema con il razzismo, molto più grave che in Inghilterra”, ha detto il centravanti della Roma Edin Dzeko dopo la partita con il Sassuolo, intervistato dalla tv inglese (la tv italiana non fa certe domande). “Grazie alla tecnologia possiamo individuare i singoli responsabili”, ha proposto il centrocampista della Juventus Blaise Matuidi, francese e nero, anche lui vittima a Cagliari l’anno scorso dei soliti ululati, insieme a Moise Kean – ululati poi minimizzati addirittura dal loro compagno di squadra Leonardo Bonucci (“È colpa sia di Kean che dei tifosi, 50 e 50”).
I social network amplificano tutto, in questo caso giustamente, e così del vecchio trombone che in una tv locale ha insultato Lukaku con una metafora degna di Carlo Tavecchio hanno parlato Bbc, Marca, L’Equipe… sempre associando l’episodio al razzismo dell’Italia, il nostro razzismo. Tutto il mondo ci considera – senza dubbio alcuno – un popolo di razzisti. Se ci pensate è una cosa da impazzire, o da far intervenire direttamente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Invece per i nostri dirigenti – che firmano gli atti ogni settimana – non succede mai niente.
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