Cambiano le regole sulla privacy. Chi non è d’accordo può solo cancellare l’account da Whatsapp.
In questi giorni, gli utenti di Whatsapp stanno iniziando a vedere apparire, all’apertura dell’app, una schermata che li invita ad approvare le riviste condizioni d’uso che saranno in vigore a partire dall’8 febbraio.
A oggi è possibile rimandare l’adesione per avere il tempo di leggere con calma le modifiche (opzione che probabilmente pochi sceglieranno, anche perché il testo completo è lungo e pieno di termini tecnici legali) ma, in ogni caso, la scelta da fare è drastica: o accettare le novità, o smettere di usare Whatsapp e cancellare l’account.
Non si tratta di variazioni di poco conto, almeno per chi vede di mal occhio la commistione tra Whatsapp stessa e Facebook, il social network che è padrone dell’app da ormai quasi sette anni.
Che Facebook miri a unire sempre più strettamente le due piattaforme non è un mistero per nessuno: già nel 2016 aveva chiesto agli utenti di Whatsapp di consentire al social network di accedere ai loro dati. Allora, però, si poteva scegliere di non concedere il permesso.
Ora è tornato alla carica, e la possibilità di scelta è sparita.
A partire dal prossimo mese, chi continuerà a usare Whatsapp – e avrà quindi approvato le nuove condizioni – avrà accettato di fornire a Facebook i dati conservati dall’app, tra cui il numero di telefono, i numeri di telefono di altre persone (ottenuti dalla rubrica), i nomi dei profili, le foto dei profili, i messaggi di stato (compreso quello che indica quando l’utente è stato online per l’ultima volta) e i dati diagnostici raccolti nei log di Whatsapp.
Il fatto che queste informazioni vengano condivise con Facebook è indicato nel paragrafo Aziende affiliate, dove si può leggere «In qualità di membro del gruppo di aziende di Facebook, Whatsapp riceve informazioni da tale gruppo di aziende e le condivide con esse. Whatsapp può utilizzare le informazioni che riceve dalla aziende di Facebook, e tali aziende possono utilizzare le informazioni che Whatsapp condivide con esse, per gestire, fornire, migliorare, comprendere, personalizzare, supportare e commercializzare i Servizi e quelli delle aziende di Facebook».
Quanti sono già utenti di Facebook, oltre che di Whatsapp, non si tratta probabilmente di aggiungere molto alle informazioni che il social network possiede; esistono però anche persone che usano Whatsapp ma di Facebook non vogliono sapere nulla, e c’è la non trascurabile questione dell’accesso da parte di Facebook ai numeri di telefono dei contatti.
In teoria, tutti questi dati dovrebbero essere adoperati soltanto per questioni sostanzialmente tecniche, quali « il miglioramento dell’infrastruttura e dei sistemi di consegna, la comprensione della modalità di utilizzo dei Servizi di Whatsapp o del gruppo di società, la messa in sicurezza dei sistemi e la prevenzione di spam, usi impropri o attività non consentite», e per il resto essere tenuti al sicuro.
In pratica, certe vicende del passato hanno dimostrato come la sicurezza assoluta dei dati sia praticamente una chimera, soprattutto per un’azienda che proprio sull’utilizzo scaltro dei dati degli utenti basa le proprie fortune.
Secondo una portavoce di Facebook, intervistata da Ars Technica, l’intera operazione fa parte di un piano per «consentire alle aziende di conservare e gestire le chat di Whatsapp attraverso l’infrastruttura di Facebook»; ciò non dovrebbe avere alcun impatto sul modo in cui gli utenti usano Whatsapp, né – sostiene la portavoce – ci saranno cambiamenti nel modo in cui i dati sono condivisi con Facebook per le chat che non riguardano aziende.
Insomma, si tratterebbe soltanto di aggiustamenti decisi per facilitare l’attività delle aziende che usano Whatsapp per comunicare con i loro clienti.
D’altra parte, un utente può legittimamente ritenere che tutto ciò non sia stato spiegato chiaramente e non accettare le novità.
Per tutti costoro la soluzione è una sola: cambiare app. Sebbene sia ampiamente utilizzata (ha circa 2 miliardi di utenti), Whatsapp non è certo l’unico software per scambiarsi messaggi: app come Signal o Telegram (e un’infinità di ulteriori alternative) sono già adoperate da chi ha maggiormente a cuore la propria privacy.