Diventa possibile, grazie alle fibre ottiche, dimostrare in laboratorio l’esistenza della radiazione di Hawking, la teoria formulata nel 1974 dal celebre cosmologo Stephen Hawking, scomparso il 14 marzo 2018, secondo la quale i buchi neri non sono poi così neri, ma possono emettere una radiazione. Questa radiazione risponde però solo alle leggi della fisica quantistica ed è, quindi, invisibile secondo la teoria della Relatività di Einstein. È quanto emerge dallo studio pubblicato sulla rivista Physical Review Letters, condotto nell’Istituto israeliano di Scienza Weizmann di Rehovot.
I ricercatori hanno simulato in laboratorio il comportamento di un buco nero a partire dal cosiddetto orizzonte degli eventi, il confine oltre il quale questi cannibali cosmici, grazie alla loro enorme attrazione gravitazionale, ingoiano tutto ciò che capita nelle loro vicinanze. Nulla sfugge al loro abbraccio, luce compresa. Almeno così si pensava, finché Hawking non teorizzò che in realtà anche il buco nero, grazie alla meccanica quantistica, può emette radiazione. Fino ad ‘evaporare’.
“La simulazione non è in grado di riprodurre in laboratorio la spaventosa forza di gravità di un buco nero, ma la matematica in gioco è la stessa”, ha spiegato all’ANSA Stefano Liberati, fisico della Sissa di Trieste. “Questo studio – ha aggiunto – non è in realtà una prima volta, ma si inserisce in un filone di ricerca che in passato ha proposto vari sistemi per simulare il comportamento di un buco nero, tra i quali le onde sonore in un fluido”.
E’ un po’ come se fossimo di fronte a uno scarico dell’acqua in un lavandino. “Se l’acqua dello scarico raggiungesse una velocità supersonica, non sarebbe possibile comunicare con onde sonore dall’interno: ogni onda verrebbe trascinata all’indietro nello scarico. In questo modo possiamo simulare un buco muto, cioè l’analogo di un buco nero per onde di suono anziché di luce”, ha aggiunto. “L’importanza di queste ricerche è cruciale per studiare indirettamente la radiazione di Hawking . Per farlo in modo diretto – ha concluso Liberati – dovremmo, infatti, ricreare in laboratorio dei mini buchi neri. E al momento non siamo capaci di farlo”.