Apparentemente è solo una sigla: un numero seguito da una G, che ogni tot anni fa capolino sui media: 1G, 2G, 3G, 4G… Leggendo su internet e sui giornali vi sarete accorti che adesso è il turno del 5G (“Arriva il 5G!”), cioè della quinta generazione dei sistemi di telefonia mobile. Da noi se ne sente parlare molto perché l’Italia è uno dei Paesi europei più avanti nella sperimentazione, tra i primi ad aver avviato test nelle città. Ad oggi gli operatori stanno sperimentando il 5G a Milano, Prato, L’Aquila, Bari, Matera, Torino, Roma, Cagliari, Catania, Lecce e Livorno. Ma bisognerà attendere il 2020 per l’apertura delle reti finora sperimentate privatamente. Negli Stati Uniti, in Corea e Cina invece avranno il 5G entro dicembre.
Occhio alla Cina! Perché fa tanto discutere? Ci sono innazitutto ragioni politiche: il principale fornitore mondiale di apparecchiature per telecomunicazioni e capofila nella costruzione delle prime reti 5G è infatti la cinese Huawei, circostanza che ha spinto Usa, Germania e Gran Bretagna a esprimere, in forme diverse, i timori che un domani l’intelligence cinese possa – attraverso queste reti – agevolmente accedere ai dati riservati di cittadini europei.
Inoltre, come ogni generazione che lo ha preceduto, il 5G, è anche la scintilla di una rivoluzione culturale, che già fa sognare con le sue promesse mirabolanti: il nuovo standard di comunicazione sarà quello che permetterà alle auto a guida automatica di muoversi, lo sviluppo della cosiddetta e-health (in Cina un chirurgo qualche giorno fa ha utilizzato la rete di nuova generazione per operare con due braccia robot a 50 km di distanza), dell’intelligenza artificiale e di robot come T-HR3, il robot di Toyota, che si potrà controllare a 10 km di distanza grazie a un visore 3D. Potrebbero arrivare anche i primi droni corrieri.
In passato, si diceva, ogni volta che il numerino che precede la G ha prodotto uno scatto nel… contatore, ha portato con se aspettative che travalicano i semplici aspetti tecnologici. È così dai primi protocolli di reti cellulari, come il TACS, che segnò il lancio in Italia nel 1990 dei primi cellulari business. Da lì in poi è stato un crescendo. Ecco come l’avvento di ogni nuovo standard di rete, più o meno una volta ogni decennio, ci ha cambiato la vita.
anni 80/90: l’1G. La definizione di prima generazione gli è stata appiccicata solo in seguito, quando 1G fu archiviato per far posto allo standard digitale GSM o 2G. Le prime reti di telefonia mobile, sviluppate a partire dalla metà degli anni 80, si basavano infatti su una tecnologia di trasmissione analogica. Questo non impedì all’1G di dare il là alla rivoluzione tecnologica: è negli anni del TACS che cominciò a diffondersi l’idea di un telefono senza fili.
All’inizio le tariffe erano proibitive e il cellulare “radiomobile” era visto come status symbol da ricchi: fece anche un’apparizione al cinema nel film Wall Street di Oliver Stone, ambientato non a caso nel mondo degli investitori miliardari. Poi qualcosa cambiò. In Italia i primi telefoni TACS caratterizzati dai prefissi 0336, 0337, 0360, 0368 si diffusero anche grazie al lancio di una tariffa Family proposta dall’allora Telecom Italia Mobile, nel 1993, con costi ridotti nelle fasce serali e nel weekend, ma altissimi durante il giorno. È il momento in cui il telefonino cominciò a democratizzarsi.
Anni 90: il 2G. Il GSM fece capolino nel 1991, ma in Italia se ne cominciò a sentir parlare solo nel 1993. Lo standard digitale, rispetto al precedente analogico, oltre a consentire un miglior uso della banda e a rendere più sicure le conversazioni, introdusse la possibilità di usufruire di servizi dati come gli sms e, in un secondo momento, del collegamento a internet via wap. Ma furono soprattutto i messaggini di 160 caratteri a rivoluzionare le nostre abitudini: molte comunicazioni che prima necessitavano una telefonata, ora si potevano esaurire in un messaggio. La loro brevità era stata stabilita a tavolino dall’ingegnere tedesco Friedhelm Hillebrand nel 1985.
A causa dei ristretti limiti di larghezza di banda delle reti wireless, principalmente utilizzate dai telefoni cellulari, ogni messaggio doveva essere il più corto possibile. A convincere Heillebrand che 160 caratteri bastassero, fu il fatto che in Germania, cartoline e telex recavano di solito meno caratteri. E forse aveva ragione lui: l’anno di svolta è il 1996 quando, con l’introduzione delle sim card a consumo, anche gli adolescenti ebbero accesso all’uso di un cellulare, appropriandosi degli sms come strumento di comunicazione. “Nessuno aveva previsto quanto velocemente e rapidamente i giovani li avrebbero usati“, ha ammesso Hillebrand in seguito, spiegando quanto fosse stupito dalle storie di giovani coppie che si separavano tramite sms. I telefoni nel frattempo diventavano sempre più piccoli.
Anni duemila: il 3G. La terza generazione di cellulari spuntò in Italia nel 2005, dopo essere stata largamente sperimentata in Corea e Giappone. L’evoluzione riguardò soprattutto l’uso della rete sul telefonino: lo standard UMTS prometteva velocità di download da 384 Kbps a un massimo teorico di 21 Mbps (con lo standard HSDPA). Anche se difficilmente questo traguardo veniva raggiunto, l’UMTS consentì ai cellulari di sbarcare finalmente su internet. Il 3G è infatti lo standard dei primi smartphone.
Se ne avvantaggiarono il Blackberry, che portò l’email sul cellulare, e quelle app che erano collegate a internet: l’App Store dell’iPhone nacque ufficialmente a luglio del 2008, con 500 app tra cui Facebook e le mappe. Arrivarono le videochiamate e, sempre grazie al 3G, andammo oltre gli sms: nel 2009 due dipendenti di Yahoo crearono Whatsapp, un sistema di messaggistica che sfruttava il traffico dati internet. Nel 2011 fu la volta di Instagram, che – complici cellulari con fotocamere sempre più potenti – ci ha trasformato tutti in fotografi. Per navigare in internet col cellulare i costi non erano ancora accessibili come oggi, ma il pc iniziava decisamente a perdere… l’esclusiva. L’effetto collaterale? Nacque l’esigenza di avere display più grandi, di conseguenza le dimensioni stesse dei cellulari iniziarono ad aumentare considerevolmente rispetto all’era del GSM.
Anni 10 del 2000: il 4G. Il 27 giugno 2011 venne pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il bando per l’assegnazione delle licenze 4G, che nella sua versione più evoluta (LTE) permetteva di raggiungere teoricamente 326,4 Mbps in download. Questa capacità di rete è alla base del boom delle attuali comunicazioni mobili: i dati costano sempre meno, c’è il boom dei video in alta definizione via internet, lo streaming musicale rende obsoleto persino l’mp3, e si parla ormai da tempo di internet of things, l’internet delle cose, con i dispositivi sempre connessi alla rete e controllabili a distanza via cellulare. Ma non solo: la velocità delle reti 4G ha permesso anche il diffondersi dei pagamenti via smartphone ed è stato complice del boom dei bitcoin e delle criptovalute.
Ora, dunque, il 5G bussa alle porte. Quanto ci cambierà la vita?