Sta facendo scalpore la vicenda della pagina Facebook dei “Socialisti Gaudenti“, molto seguita, gestita da giovani di sinistra vicini al PD che in questi anni si sono distinti per una satira feroce sulla destra ma anche sulla stessa sinistra.
Pare che alcune battute paradossali su Mussolini e il razzismo siano incappate nella censura antirazzista di Facebook: prima ci sono stati dei richiami, poi si è arrivati all’oscuramento dell’intera pagina.
Qualche giornalista come Alessandro Gilioli, da sempre acuto osservatore delle cose di Internet, ha voluto sintetizzare la vicenda in una frase lapidaria – «Chi di censura ferisce di censura perisce» – criticando così i tanti che a sinistra avevano applaudito la decisione insindacabile di Facebook di chiudere le pagine di Forza Nuova e Casa Pound e i profili di molti dei loro dirigenti e militanti, accusati di violare la policy antirazzista e antiomofoba di Facebook.
Alcuni di questi dirigenti hanno poi deciso di denunciare per diffamazione Facebook, chiedendo i danni professionali e per la perdita dei contenuti postati sul social network.
Il tema di fondo è quello di una società privata, con sede all’estero, che decide che cosa sia pubblicabile o meno aldilà delle leggi italiane e della nostra Costituzione.
Credo che quelle avanzata da Gilioli (ma anche da altri) siano critiche importanti e degne di una riflessione: innanzitutto dobbiamo chiederci se oggi Internet, considerata una Rete aperta e universale, si possa davvero ridurre soltanto ai social network come Facebook, Twitter, Instagram.
Appena 10 anni fa non era così. Certamente anche allora la maggioranza degli utenti visitava sempre stessi siti, ma oggi gran parte degli internauti va solo su Facebook, e ciò è particolarmente vero in Italia.
Un sistema chiuso e proprietario è praticamente diventato Internet per la maggior parte degli utenti; eppure non per questo la Rete è solo Facebook.
Se non è accettabile che un gestore telefonico o un ISP discriminino chi possa accedere, navigare, registrare un dominio o aprire un sito web in base alle idee politiche o ad altre caratteristiche personali, perché ciò non deve valere anche per Facebook?
Facebook è una community, anche se ciò può apparire ipocrita ed irrealistico, e come tutte le comunità ha sue regole, che in gran parte corrispondono al genere “politicamente corretto” della società statunitense in termini di linguaggi, etica, immagini ammesse o meno in base alla lotta alla discriminazione sessuale, nonché a un certo puritanesimo che non vuole che si mostri il seno, e alla tutela delle minoranze.
Allo stesso tempo viene lasciata in buona parte ai singoli la regolamentazione dei conflitti basati sull’insulto personale, rispettando un grande relativismo scientifico e culturale che può valere sia per i no vax sia per gli ufologi, i complottisti e i terrapiattisti di ogni colore.
Bisogna ammettere che il ritardo culturale e tecnologico dell’Europa rispetto agli Usa ha fatto si che nei social network e nei motori di ricerca la cultura nordamericana abbia imposto la propria egemonia, anche idelogica.
Questo è un fatto e non si può recriminare; non si può pensare di fare come la Cina che impone filtri per bloccare Facebook e Google, o impedire l’accesso al social network russo Vkontakte come ha fatto l’Italia per qualche tempo alcuni anni fa.
È invece auspicabile e anche possibile evitare il monopolio di Facebook e delle sue regole, ma lo è soltanto sviluppando nuove piattaforme e servizi più democratici, senza illudersi di poter cambiare più di tanto quelli attuali.