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15.10.2019 In Tecnologia

La nuova vita dei capolavori dei Maya

Quando Alfred Percival Maudslay arrivò a Palenque, nel sud del Messico, quella che era stata una grandiosa città-stato dei Maya era semi-nascosta dalla giungla, che l’aveva inghiottita circa un millennio prima. Tra il ‘700 e l’800, pochi si erano spinti prima di lui nella città dimenticata. L’esploratore inglese restò accampato tra le rovine di Palenque nel 1890 e nel 1891. E decise di documentare quel tesoro archeologico, usando la tecnologia di allora: scattò foto e realizzò calchi di bassorilievi e iscrizioni.

Oggi, l’opera di preservazione di fine Ottocento si è fusa con la conservazione basata sulle moderne tecnologie: la scansione tridimensionale e la “scultura” eseguita con un robot. Così è stato possibile riprodurre nel dettaglio una scala del palazzo di Palenque – i cui gradini di pietra istoriati sono stati ulteriormente rovinati dall’erosione nell’ultimo secolo – basandosi sulla copia fatta da Maudslay. La riproduzione “hi-tech” sarà posata sull’originale, che resterà così protetto.

La scala vista da vicino, nell’800. | Google

Conservazione analogica e digitale. L’operazione è stata realizzata da Google, in collaborazione con le autorità messicane e con il British Museum di Londra, nei cui archivi sono conservate le foto e le copie di Maudslay. «È una storia di conservazione che sta andando avanti da oltre un secolo», spiega l’archeologo Chance Coughenour, Program Manager di Google Arts & Culture, la piattaforma che permette di esplorare le “versioni digitali” di opere d’arte e monumenti e le collezioni di musei di tutto il mondo.

La scala si trova nel Palazzo, un complesso di edifici usato dall’aristocrazia maya per cerimonie e funzioni burocratiche. Come tutta la città, è rimasta avvolta dalla giungla per secoli: Palenque fiorì dal III all’VIII secolo d. C., poi fu abbandonata e venne lentamente coperta dalla foresta. Ancora oggi si stima che meno del 10% della città sia stato portato alla luce.

«La scala originale è coperta di geroglifici. È di calcare, è all’aperto e stando nell’ambiente umido e piovoso della giungla messicana è stata ulteriormente erosa, da quando Alfred Maudslay ne realizzò la copia. Quindi, su richiesta delle autorità messicane, ne abbiamo realizzato una copia partendo proprio dalle repliche dell’esploratore inglese», ci racconta Coughenour, che ha curato il progetto. «Abbiamo realizzato “copie” digitali dei calchi di Maudslay del British Museum, usando uno scanner laser portatile. Poi, sulla base di questi dati, un robot ha “scolpito” il calcare. Il risultato: una copia perfetta, di pietra, delle lastre decorate che coprono i gradini. Ora i pezzi sono stati spediti in Messico e dovranno arrivare a Palenque in qualche settimana: lì saranno montati sulla scala originale, che resterà protetta sotto di essi». La parte di scala “ricostruita” è larga 220 cm, profonda 120 e alta 80.

Alfred Maudslay (1850-1931) in un edificio di Chichén Itzá, in Messico. | Google

A rendere possibile tutto questo è stata la lungimiranza di Maudslay, che fu tra i primi a far conoscere nel mondo la civiltà Maya. «Maudslay ha scritto che la magnificenza dei monumenti apparsi ai suoi occhi lo ha spinto a impiegare anni per realizzare copie di essi: queste repliche, conservate nei musei, sarebbero probabilmente sopravvissute agli originali. E aveva ragione», dice Coughenour.

L’esploratore e archeologo (1850-1931), dopo un periodo come diplomatico nelle colonie inglesi, si dedicò a tempo pieno alla sua passione: esplorare le città Maya allora nascoste nelle giungle dell’America Centrale. Cominciò dai siti di Quiriguá (Guatemala) e Copán (Honduras), arrivò nelle rovine da poco riscoperte di Tikal (Guatemala), fu tra i primi a descrivere Yaxchilán (Messico), arrivò a Chichén Itzá (Messico) e appunto a Palenque. E conservò, come abbiamo detto, foto e calchi delle opere presenti in quelle antiche città.

Carta e gesso. Maudslay creava le sue repliche applicando carta bagnata su bassorilievi o incisioni: la carta seccata era l’“impronta” da usare come stampo. Per le sculture più grandi, la forma veniva presa usando gesso: soltanto per un masso scolpito trovato nel sito di Quiriguá, in Guatemala (chiamato Zoomorfo P, che rappresenta un mostro cosmico) ce ne vollero due tonnellate, portate attraverso la giungla a dorso di mulo. Dagli stampi ottenuti con le due tecniche, si ricavavano poi le repliche di gesso delle opere.

Il robot al lavoro, visto da vicino. Realizzare materialmente la “scultura”, con il robot, è stato il processo più veloce: il grosso del lavoro è stato effettuare le scansioni delle riproduzioni di gesso. | Google

Al British Museum vennero appunto affidati sia le copie di gesso – un paio delle repliche di Maudslay sono esposte nel museo, tutto il resto è protetto nei suoi archivi – sia le lastre fotografiche di vetro: ne sono conservate 800, ancora nelle casse di legno fabbricate apposta da Maudslay per proteggerle nel viaggio attraverso la giungla. Oggi le riproduzioni dell’esploratore inglese sono preziosissime, visto che molti degli originali si sono deteriorati fino a perdere figure e particolari o, in qualche caso, sono andati distrutti.

«La realizzazione della scala di Palenque è il culmine di un progetto che portiamo avanti da anni: la scansione dei calchi di Maudslay, per realizzare modelli 3D digitali da mettere online, in modo che siano accessibili a chiunque, al pubblico e ai ricercatori, mentre le repliche originali non sono visibili perché si trovano negli archivi del British Museum. Ne abbiamo fatti circa 200, da diversi siti Maya», conclude Chance Coughenour.

Si possono vedere i modelli 3D virtuali dei calchi e le foto di Maudslay su Preserving Maya Heritage, su Google Arts & Culture.

Articolo originale disponibile qui

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