Il fondatore di Wikileaks è ancora nel mirino degli USA.
Che fine ha fatto Julian Assange? Il fondatore di Wikileaks, autore di importantissime rivelazioni, fuggito dalla Svezia a causa di un’accusa di stupro, fino allo scorso aprile era ospite dell’ambasciata ecuadoregna a Londra, che gli aveva concesso l’asilo politico.
Quando tale concessione è stata revocata, Assange è stato immediatamente arrestato; gli Stati Uniti hanno chiesto l’estradizione perché lo hanno accusato di aver aiutato Chelsea Manning a violare un computer governativo americano nel 2010, ma per ora si trova in prigione nel Regno Unito.
Deve infatti scontare una pena di 50 settimane proprio per essersi rifugiato nell’ambasciata che l’ha ospitato sin dal 2012 mentre si trovare libero su cauzione (per la vicenda del caso di stupro). Trascorso questo periodo potrà forse essere estradato negli USA, dove rischia sino a cinque anni di carcere.
In tutto ciò dove si pone l’accusa di stupro? Semplice: non si pone più. La Svezia ha deciso di ritirarla poiché, considerato il tempo trascorso dai fatti (nove anni), le prove su cui si basa l’accusa – soprattutto la testimonianza della presunta vittima – «si sono indebolite».
«Voglio sottolineare» – ha spiegato il vice-pubblico ministero che ha comunicato la decisione della giustizia svedese – «che la parte lesa ha fornito una versione degli eventi attendibile e affidabile. Le sue affermazioni sono sempre state coerenti, dettagliate ed esaurienti; tuttavia, la mia valutazione complessiva è che la situazione probatoria sia stata indebolita al punto tale che non ci sono più ragioni di continuare le indagini».
«I ricordi svaniscono per motivi naturali» ha concluso, aggiungendo che sette testimoni sono stati ascoltati prima di decidere di fermare il tutto.
Sul capo di Julian Assange, quindi, peserà per sempre il dubbio se davvero abbia compiuto gli atti di cui è stato accusato o se invece sia davvero innocente.
Dal punto di vista di Wikileaks, ciò significa semplicemente che ora è il momento di «concentrarsi sulla minaccia dalla quale Assange ci ha messi in guardia per cinque anni: l’aggressiva azione penale promossa dagli Stati Uniti e la minaccia che ciò rappresenta per il Primo Emendamento [quello relativo alla libertà di parola, NdR]».