Sospesi i festeggiamenti a causa della pandemia, che generano un giro d’affari di 1,2 miliardi di euro. Un buco che pesa su un’economia già in affanno per il coronavirus
Per la prima volta nella storia il Brasile cancella il Carnevale. Da Rio a San Paolo passando per Salvador e Olinda, a causa del coronavirus si spengono le luci nelle principali città del paese per le celebrazioni che avrebbero dovuto cominciare il 13 febbraio ed estendersi per cinque giorni. Niente carri per le strade, niente caroselli a ritmo di samba.
Nemmeno la Spagnola, la famigerata influenza che sferzò il globo tra il 1918 e il 1920, era riuscita a fermare l’appuntamento. Gli unici eventi paragonabili risalgono al 1892, quando la festa si tenne a giugno, e al 1912, quando fu posticipata ad aprile per la morte dell’allora ministro degli Esteri Barão do Rio Branco. Anche quest’anno si era pensato di traslocare a luglio (pieno inverno, nell’emisfero australe), ma da tempo l’idea è stata accantonata. Il coronavirus dilaga nel paese e azzardare previsioni per una kermesse in grado di mobilitare buona parte dei 210 milioni di abitanti è un esercizio che rasenta la follia. Anche per un popolo che ai rituali collettivi assegna un significato notevole.
La questione è economica, oltre che sociale. L’imponente macchina del Carnevale brasiliano muove un giro d’affari che, durante i cinque giorni delle celebrazioni, è stimato in 8 miliardi di reais (circa 1,2 miliardi di euro) con riferimento alla sola componente turistica. Si calcola che nella capitale carioca dodici mesi fa siano scese in strada 10 milioni di persone (2 milioni solo i turisti). A San Paolo si parla addirittura di 15 milioni. A oggi, invece, l’occupazione degli hotel a Rio è ferma al 41% della capienza, la metà rispetto al 78% registrato nello stesso periodo dell’anno passato.
“In realtà se ne parla da tempo” spiega a Wired Andrea Torrente, giornalista freelance italiano, in Brasile dal 2009. Che prosegue: “Sono state le amministrazioni locali a decidere, non il governo federale, e nelle scorse settimane, una dopo l’altra, hanno dato forfait tutte le principali città del nord del paese, da San Paolo a Rio a Salvador de Bahia. In pratica quelle dove la tradizione è più sentita”.
Le conseguenze dello stop
Per comprendere l’impatto economico della rinuncia, bisogna considerare che la faraonica macchina organizzativa scalda i motori con largo anticipo. “A Rio, dove si tiene la nota parata delle scuole di samba, i preparativi durano circa dieci mesi – prosegue Torrente -. Appena concluse le sfilate si comincia a lavorare all’edizione successiva. Ci sono i costumi da fabbricare, i carri allegorici da allestire, le canzoni da scrivere”. Un florilegio di artisti e artigiani per cui il lavoro legato alla festa è un’entrata importante nel bilancio annuale. “Le scuole di samba ogni settimana ospitano nei propri locali chi vuol dare una mano. E molte offrono la possibilità di consumare cibo e bevande, oltre che acquistare costumi, aumentando in questo modo le entrate rispetto alle sole lezioni di ballo”, racconta il giornalista.
Nel 2020 il Carnevale ha generato 65mila posti di lavoro temporanei solo a Rio de Janeiro (fonte: Fondazione Getulio Vargas, un istituto di ricerca economica), senza contare gli alcolici e il cibo comprati dagli ambulanti durante le sfilate, i souvenir venduti ai turisti, l’indotto per ristoranti, trasporti e tutti i settori collegati alla manifestazione. Il sindaco carioca Eduardo Paes ha promesso ristori per compensare i mancati introiti.
La situazione Covid in Brasile
Ma lo stop al Carnevale è un colpo al cuore di un’economia già provata, in un paese caratterizzato da disuguaglianze profonde. I disoccupati a fine dicembre erano 14,1 milioni (il 14,3% della forza lavoro). Con il nuovo anno è scaduto il contributo di emergenza, 600 reais (circa 100 euro) distribuiti ogni 30 giorni per sei mesi, ridotto di metà per i tre successivi. Il sussidio è stato erogato a 64 milioni di brasiliani; ora il governo pensa a una proroga che coinvolgerebbe una platea di 32 milioni di persone. Da gestire c’è il problema del debito pubblico, balzato in un anno dal 74% all’89%. Intanto, la conta dei morti dall’inizio della pandemia segna 233mila vittime ufficiali, dato di martedì 9 febbraio.
Tra le zone più colpite, Manaus, capitale dell’Amazzonia, dove nelle ultime settimane il virus è tornato a correre, nonostante, dopo la prima ondata, si parlasse di immunità di gregge raggiunta. “I governatori – racconta il cronista italiano – hanno riaperto gli ospedali da campo. Ma, oltre ai posti letto, mancano medici e personale sanitario”. E l’ossigeno. Per far fronte alla carenza del gas, che sta asfissiando decine di malati, il Venezuela di Nicolàs Maduro (paese con inflazione a tre cifre, e che da anni versa in una crisi economica profonda) ha spedito cinque camion carichi di bombole.
Il cambio di atteggiamento di Bolsonaro
Il presidente Jair Bolsonaro, negazionista della prima ora, ha parzialmente rivisto le proprie posizioni. Seppur ancora convinto che “la migliore vaccinazione sia prendere la malattia” (23 dicembre 2020), ha smesso di osteggiare le campagne vaccinali incalzato dalla pressione di media e opinione pubblica.
Alla base del ripensamento potrebbe esserci un calcolo politico. Stanco di attendere una decisione che non arrivava da parte del governo federale, il governatore di San Paolo João Doria, uomo di destra, è scattato in avanti e ha cominciato a fare da sé comprando 40 milioni di dosi di Coronavac, il vaccino cinese. Doria potrebbe candidarsi alla leadership del paese nel 2022, ed è ritenuto un potenziale avversario nella corsa elettorale di Bolsonaro, la cui popolarità è in calo. La parziale retromarcia rispecchierebbe la volontà di frenare l’erosione lenta e costante di consensi in vista della consultazione. Secondo un recente sondaggio, il governo è ritenuto pessimo dal 42% degli intervistati, in calo di due punti rispetto a gennaio. Tuttavia, il 30% lo considera ancora buono, se non addirittura ottimo. Va peggio sulla gestione della pandemia: il 53% la ritiene negativa. A ottobre era il 47%. Nonostante tutto, il Brasile resta un paese diviso.
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