“Perdi il vizio di perdere le cose”. È questa la sfida lanciata da Apple a tutti i suoi adepti, quelli più fedeli al marchio ma soprattutto i più distratti, con l’introduzione sul mercato degli AirTag. Non hanno certo bisogno di presentazioni: gli smart tracker Bluetooth della Mela morsicata, chiacchieratissimi da anni ma annunciati durante l’evento Spring Uploaded di fine aprile, a pochi giorni dal lancio sul mercato hanno già conquistato l’approvazione di molti.
Il payoff con cui sono stati annunciati mi ha subito rapito, da inguaribile smemorata quale sono. Ho perso di tutto nella vita: chiavi, portafogli, borse, gioielli, ombrelli (tanti ombrelli), zaini, cuffie, cappotti. La testa, quella, proprio mai avuta, incastrata da tempo immemore in un fittissimo e irraggiungibile Cloud di distrazione (spoiler: non è possibile appiccicarsi i tracker in fronte, già domandato durante la sessione Q&A del press event). Per questo, l’ultima novità della Mela sta a me come un flauto sta a un cobra incantato in un suq di Tunisi.
Vogliate dunque comprendermi se, nell’istante esatto in cui ho stretto tra le mani il mio AirTag, mi sono sentita per la prima volta padrona dei miei averi e, a dirla tutta, anche un po’ del mondo. Il lampo di onnipotenza da cui si viene assaliti realizzando di poter rintracciare il proprio oggetto del desiderio in qualsiasi momento, dopo anni di imprecazioni e affaticamenti mentali, vale già da solo dieci punti.
Qualche giorno di utilizzo mi è bastato per capire che questi piccoli accessori hanno del potenziale, se non per rivoluzionare la vita delle persone, quantomeno per facilitarla. Per poterli recensire in modo inappuntabile, completo e veritiero, avrei tuttavia necessitato di trascorrere in loro compagnia qualche settimana in più, se non addirittura mese. La funzione salvifica degli AirTag, veritiera o sopravvalutata che sia, emerge infatti nel vero momento del bisogno.
Ma basta chiacchiere: vi dico tre cose che ho subito apprezzato dei tracker di Apple e tre aspetti che invece non mi sono proprio piaciuti, più un “jolly” a metà strada (da cui partirò).
SOMMARIO
IL PREZZO È UN NI
C’è una componente che mi lascia interdetta, spaccata a metà tra l’accettazione e il dissenso: il prezzo. Questi piccoli oggetti in acciaio (altamente graffiabile, ndr), anello di congiunzione tra una moneta da due euro e una spilla da concerto per la loro forma tondeggiante e lillipuziana, sono anche il dispositivo della Mela più economico in commercio.
La versione singola costa 35 euro, mentre il prezzo della confezione da quattro è di 119 euro. Senz’altro accessibile, ma bisogna considerare anche la obbligatoria sfilza di accessori “porta AirTag” per un loro uso più pratico e maneggevole (ad esempio, con il portachiavi in pelle si arriva a 74 euro, con il laccetto in poliuterano a 70 euro). Certo, il tag può essere anche mantenuto “nudo”, non essendo chiaramente un device con finalità estetiche, ma che si presta anzi all’occultamento per adempiere alla sua funzione nel più sicuro e anti-sgamo dei modi, agendo spesso sottopelle, ma tant’è.
Bisogna però riconoscere che il prezzo di AirTag si allinea a quelli della concorrenza, non senza valori aggiunti, quindi mi riserverò il privilegio di restare in bilico tra due opinioni discordanti.
FACILE DA UTILIZZARE
Gli AirTag sono dispositivi davvero molto semplici da utilizzare. Per attivarli, infatti, non bisogna fare altro che liberarli dalla pellicola e staccare la linguetta di plastica che separa fisicamente la batteria dai contatti. Una volta completato questo passaggio, iniziare a usare il tracker è semplicissimo: avvicinandolo al proprio smartphone comparirà istantaneamente la tendina pop-up che permette di eseguire l’abbinamento con il proprio telefono (per ogni ID Apple si possono associare un massimo di 16 AirTag diversi). Un click su “Connetti” e il gioco – a prova di stolto – è fatto.
Non vi è dunque alcuna necessità di scaricare un’app (“Dov’è” è già pre-installata), né alcun bisogno di abbinare il proprio tag al Bluetooth. Minimo dispendio di energie, massima resa.
L’ECOSISTEMA SI AMPLIA
Sebbene sulla carta lo siano, gli AirTag non possono e non devono essere considerati dei semplici tracker Bluetooth, ma qualcosa di più. Sono infatti la chiave d’accesso alla sterminata rete di dispositivi della Mela che costellano il Globo riunita sotto il controllo dell’app Dov’è. Se il nostro AirTag si imbatte in uno di essi, emette un segnale Bluetooth che può essere rilevato dal device, il quale invierà la posizione dell’AirTag al Cloud di Apple permettendo al proprietario del tag di visualizzarlo sulla Mappa dell’app Dov’è, che riporterà ora la posizione aggiornata (tranquilli: il sistema è anonimo, crittografato e, per questo, sicuro). Ed è così che l’ecosistema della Mela morsicata, sempre più interconesso e imprescindibile per i suoi aficionados (hater, non vogliatemene) si amplia.
P.S. Nel caso in cui doveste imbattervi in un AirTag abbandonato, per risalire al proprietario basta cliccare l’opzione “Identifica l’oggetto trovato” tramite l’app Dov’è, posizionarlo sul dorso del proprio smartphone (purché dotato di tecnologia NFC, la stessa impiegata per i pagamenti con il telefono) e aspettare che compaia la tendina recante numero di telefono e messaggio di segnalazione dello smarrimento dell’oggetto. Non temete: gli Androidiani saranno reindirizzati a una pagina web di Apple contenente le medesime informazioni.
LA BATTERIA SI CAMBIA FACILMENTE DOPO UN ANNO
AirTag, come già anticipato, è dotato di batteria di tipo CR2032 al litio da 3 Volt, la classica batteria a bottone che viene usata da tempo su molti dispositivi di uso quotidiano, come gli orologi. L’autonomia, stando a quanto detto da Apple, è di circa un anno. Il vantaggio qui è doppio: scompare l’ansia di dover ricaricare periodicamente il dispositivo e diventa un gioco da ragazzi sostiuire la batteria una volta scarica. Per farlo, vi servirà un supermercato e i vostri due pollici (per aprire il tag basta premerli sul lato argento e ruotare le due componenti).
PRECISO SÌ, MA NON SEMPRE
Non c’è carota senza bastone. Quando AirTag è all’interno del raggio d’azione del Bluetooth, l’app Dov’è si converte in una vera e propria bussola digitale: accedendovi, è infatti possibile far emettere un suono al dispositivo per localizzarlo (a metà tra una sveglia e un sibilo alieno).
Selezionando l’opzione “Trova nelle vicinanze“, invece, il chip U1 con tecnologia Ultra Wideband basata su radiofrequenza, (introdotta con iPhone 11), attiverà la modalità “Posizione precisa” per rilevare in modo accurato la distanza e la direzione. La funzione è veritiera ed è in grado di localizzare un oggetto nello spazio con una precisione fino a 10 centimetri ma, nel caso in cui l’oggetto smarrito fosse tra le mura di un edificio su più piani, la questione si complicherebbe.
La volta in cui ho provato a cercare il mio AirTag in redazione, smarrito nella sua solitudine dopo una giornata di prove, intercettarlo è stato infatti piuttosto difficile. Il raggio d’azione del Bluetooth massimo è di circa 100 metri (senza ostacoli), ma l’UWB entra in gioco quando si è a una distanza di circa 15 metri, momento in cui apparirà l’indicazione visiva della bussola accompagnata da una combinazione di vibrazioni e suoni.
Dimenticato al primo piano, l’AirTag non si è palesato facilmente, complici le mura che ne hanno ostacolato il segnale. Ed eccomi attaccata al pulsante “Fai suonare” come fosse il citofono della nonna all’ora di pranzo (sì, poi l’ho trovato).
TROPPI GRAFFI
Nostalgici, vi vedo già sorridere: la finitura lucida è la stessa del retro dei vecchi iPod e porta con sé un lungo strascico di (bellissimi) ricordi del passato, ma anche una quantità smisurata di graffi. Aspettatevi di ritrovare il vostro AirTag segnato, già a poche ore di utilizzo, da una costellazione di incisioni involontarie e segnetti fastidiosi come fossero stati maneggiati da Edward Mani di Forbice. La questione è già stata ampiamente dibattuta e siamo tutti d’accordo sul fatto che i tracker della Mela non siano un dispositivo da esibire, dunque non è così grave che si rovinino esteriormente. Però diciamocelo: oltre alle tecnologie avanzate, Apple avrebbe potuto puntare anche su materiali che resistono maggiormente all’usura.
IL SUONO DISORIENTA (E INFASTIDISCE)
Come già anticipato, se il proprio AirTag si trova nel raggio di azione del Bluetooth, per localizzarlo più facilmente è possibile fargli emettere un suono che si può anche interrompere prima che termini in automatico.
E sarebbe meglio per le vostre orecchie, non tanto perché il sibilo sia fastidioso (sappiate che lo è), ma perché a mio avviso è anche poco efficace. Il suono è troppo spaziale, non dà un’idea precisa della direzione da cui proviene e ho avuto non poche difficoltà a farmi guidare verso la posizione esatta del mio AirTag affidandomi al solo udito. Vi dirò di più: non è neanche così potente (il suono, non il mio udito).
HA SENSO?
Ma quindi, ha senso acquistare uno o più AirTag o è meglio lasciar perdere? Sarò sincera: dipende dall’uso che vorrete farne.
Gli AirTag hanno senso per:
- Lo smarrimento domestico di prossimità di oggetti d’uso quotidiano (chiavi dimenticate nella tasca del cappotto, ombrello abbandonato in soffitta, cuffiette incastrate tra i cuscini del divano);
- Il tracciamento di effetti personali trasportabili ad elevato rischio di furto o perdita (zaino, borsa, valigia, portafogli, bicicletta).
Gli AirTag non hanno senso per:
- Seguire le persone (l’imperativo categorico è uno solo, e a dirlo è anche Apple: non provateci nemmeno. Sorvolando sulle considerazioni etiche, certamente sottintese, il vostro deplorevole esperimento non funzionerà; dopo tre giorni di lontananza dallo smartphone cui è associato, l’AirTag emetterà un suono regolare per annunciarsi; nel caso in cui si muovesse insieme ad altri dispositivi cui non è abbinato, il tracker segnalerà loro la sua presenza, avvertendo il proprietario che potrebbe essere seguito da qualcuno);
- Sostituire un antifurto (per le ragioni di cui sopra);
- Controllare bambini e/o animali domestici (si tratta di soggetti che si muovono rapidamente e risulterà difficile localizzarli in tempo reale e in modo preciso. Nel caso dei bambini, sarebbe meglio utilizzare un Apple Watch con Family Setup).
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