E come tali vanno tutelati.
Ancora una volta è la magistratura a riempire un vuoto legislativo e a sanare una ingiustizia che la politica e le forze sociali non sanno affrontare né risolvere.
Stiamo parlando dei rider, i giovani lavoratori che, a bordo di una bici o di un motociclo, consegnano a domicilio il cibo che viene ordinato e pagato sulle piattaforme del web o tramite app per smartphone.
Fino a oggi erano considerati lavoratori autonomi, da pagare soltanto in base alle consegne, spesso privi di polizza assicurativa e contro gli infortuni, perennemente stressati perché spronati a essere sempre più veloci in base alla tirannia degli algoritmi di valutazione.
Questi assegnano infatti il lavoro in base alla velocità e alla disponibilità, e così penalizzano per esempio chi, come nel caso dei recenti scioperi ideati per cercare di migliorare le condizioni di lavoro, si astiene per qualche ora dall’effettuare le consegne.
Dopo il clamore suscitato da alcuni gravi infortuni stradali che avevano coinvolto i rider e la nascita di associazioni sindacali auto-organizzate dai rider stessi, i problemi di questi lavoratori figli della new economy sono stati oggetto anche dall’attenzione delle forze politiche.
Per esempio Luigi Di Maio, appena nominato ministro del Lavoro nel precedente governo, aveva promesso una soluzione dei problemi legati ai rider in tempi rapidi con una legge ad hoc. Dal 2018, però, sia il Governo, sia il Parlamento, sia le stesse organizzazioni sindacali e degli imprenditori non sono riusciti ad accordarsi sulle tutele da riconoscere a questi lavoratori.
Poi cinque rider di Torino, che lavoravano per Foodora, hanno deciso di rivolgersi al giudice del lavoro, chiedendo di essere riconosciuti come lavoratori dipendenti.
Il magistrato ha respinto l’istanza, non loro si sono arresi e oggi la Corte di Cassazione ha riconosciuto, con una sentenza che ha valore per tutti, che il rider è un lavoratore subordinato in quanto i tempi di lavoro e l’organizzazione sono decisi dal datore di lavoro, ossia dalla piattaforma online, e non c’è alcuna autonomia da parte del lavoratore.
A questo punto le piattaforme per le consegne a domicilio potranno decidere soltanto quale contratto applicare e in che modo farlo, ma i rider finalmente godono degli stessi diritti di tutti i lavoratori subordinati.