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23.01.2021 In Medicina, Tecnologia

Coronavirus, 5 domande importanti a cui non sappiamo ancora rispondere

Sono quesiti rilevanti per la nostra salute e per il futuro, anche a livello sociale, a cui la ricerca sta provando a dare delle risposte. Fra le domande: quando saremo protetti con l’immunità di gregge e come sarà la malattia nel futuro. E quella più difficile, fuori elenco: quando finirà la pandemia?

domande
(foto: Arek Socha via Pixabay)

Il nuovo coronavirus è sempre un po’ meno nuovo e sconosciuto. Ormai è passato più di un anno dai primi casi di misteriose polmoniti in Cina e ogni giorno apprendiamo qualcosa di nuovo sul Sars-Cov-2. Nonostante l’esperienza accumulata, ci sono ancora diversi aspetti del virus, della malattia Covid-19, dei vaccini e dell’evoluzione della pandemia che ancora non conosciamo. Non sappiamo nella pratica quando otterremo l’agognata immunità di gregge, quanto potrà persistere l’immunità fornita dai vaccini, quanto durerà ancora l’epidemia in Italia e la pandemia a livello globale, come evolverà la malattia nel futuro. Le ipotesi scientifiche sono tante e a volte molto differenti: ad esempio sulla durata dell’immunità in certi casi si parla di mesi, in altri addirittura di anni. I risultati sono tutti validi e basati su osservazioni scientifiche, le differenze e la mancanza di conoscenze deriva dal fatto che ancora non abbiamo dati sufficienti sul Sars-Cov-2 e soltanto il tempo e le sperimentazioni già in corso potranno dare risposte più chiare. Ecco quello che (non) sappiamo.

1. Quando raggiungeremo l’immunità di gregge?

Ancora non sappiamo dirlo, ma questa domanda è importante perché l’immunità di gregge, che si manifesta quando un virus non riesce più a diffondersi nella popolazione perché questa è già protetta, è ad oggi un punto di arrivo, il traguardo nella lotta al coronavirus. Per ottenerla, fortunatamente, non è necessario che proprio tutti siano immuni, anche se devono esserlo in molti. “Una parte sostanziale di una popolazione deve essere vaccinata”, spiega l’Oms, “riducendo la quantità complessiva di virus in grado di diffondersi nell’intera popolazione”.

Ma si può davvero ottenere? La vaccinazione diffusa all’interno della popolazione dovrebbe favorire, in tempi più o meno lunghi, il raggiungimento dell’immunità di gregge. E quante persone devono essere vaccinate? Di nuovo, non abbiamo risposte chiare. Inizialmente gli scienziati hanno indicato che circa il 60-70% di una popolazione avrebbe dovuto ricevere il vaccino, dato riportato anche dall’Oms e confermato da uno studio sul Lancet. Questa sarebbe la soglia minima per parlare di immunità di gregge. Ma secondo qualche scienziato, la stima è troppo bassa: lo sostiene Anthony Fauci, immunologo a capo del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, protagonista scientifico nella task force Usa per il coronavirus, che individua nell’80-90% di persone vaccinate il livello per avere l’immunità di gregge. “Dobbiamo essere un po’ umili”, dichiara Fauci al New York Times. “Non sappiamo quale sia il numero reale. Penso che la fascia sia compresa fra il 70 e il 90%. Ma ritengo più probabile il 90%”.

L’obiettivo dell’immunità di gregge è in generale discusso dagli scienziati quando si realizza la programmazione di una campagna vaccinale su larga scala – ma mai di un’immunità di gregge raggiunta naturalmente con la circolazione del virus, uno scenario ipotizzato (ma solo inizialmente) dal premier inglese Boris Johnson. Ma anche nei paesi e nelle circostanze in cui il coronavirus ha colpito in maniera davvero molto diffusa una popolazione non si ha la garanzia che questo possa proteggere quella stessa popolazione in futuro. Rappresentativo è il caso del Brasile, di Manaus, città brasiliana capitale dello stato di Amazonas. Uno studio su Science, coordinato dal ricercatore Nuno Faria dell’università di Oxford, indicava che a Manaus circa tre quarti (il 75%) degli abitanti avessero avuto il Covid. Ma quando successivamente nella stessa città c’è stata una nuova impennata di casi, Faria è rimasto sorpreso perché la quantità di nuovi casi non è compatibile con i contagi precedenti che farebbero pensare al raggiungimento dell’immunità di gregge. La spiegazione in questo caso potrebbe essere legata alla circolazione di una nuova variante del coronavirus, che sfugge al riconoscimento del sistema immunitario.

2. Una volta guariti dal coronavirus quanto dura l’immunità?

I risultati sul Sars-Cov-2 segnalano che il livello degli anticorpi specifici contro il virus, sviluppati dalle persone che hanno avuto il coronavirus, potrebbero calare significativamente dopo alcuni mesi. Una ricerca indica che l’immunità cellulare, quella non mediata dagli anticorpi ma dalle cellule T (o linfociti T) del sistema immunitario, potrebbe durare fino a sei mesi e dunque la persona sarebbe protetta durante questo periodo. Anche per questo, dato che la disponibilità dei vaccini è ad oggi limitata, l’Oms suggerisce di posticipare anche di 6 mesi la vaccinazione in chi ha già avuto il Covid-19, tuttavia il test per verificare una precedente infezione prima di vaccinarsi non è un sistema raccomandato.

Ma i risultati sono vari e uno studio recente, circolato ampiamente sui media e condotto dal gruppo de La Jolla Institute for Immunology – qui in preprint e ancora non peer-reviewed – indica che la memoria immunitaria e la possibile protezione potrebbe durare molto più a lungo, addirittura anni. L’ipotesi, ancora da confermare, deriva dall’osservazione di un lieve calo, a distanza di 8 mesi dall’infezione, delle cellule B e T del sistema immunitario. Questi dati potrebbero essere importanti anche per studiare quando dura l’immunità fornita dal vaccino, nell’idea che una qualche forma di protezione possa fortunatamente essere molto duratura. Secondo uno studio ampiamente citato e condotto da Marta Galante e Jeffrey Shaman della Columbia University, il rischio di una nuova infezione potrebbe manifestarsi entro un anno dalla prima (la ricerca era basata su altri coronavirus). Il punto centrale, stando a quanto riporta sul New York Times l’autore Shaman, è capire se e quanto una reinfezione possa essere fonte di preoccupazione, considerando i risultati incoraggianti forniti dagli studi e relativi alla persistente risposta immunitaria. Insomma, non abbiamo ancora certezze, ma la speranza è che anche nel caso di un contagio o di una reinfezione i danni possano essere contenuti.

3. E quanto dura l’immunità fornita dal vaccino?

Non si sa ancora se l’immunità data dalla vaccinazione possa durare diversi mesi o addirittura anni. Le prove su altri coronavirus già noti (non Sars-Cov-2) indicano che la protezione data dalla vaccinazione potrebbe durare almeno 9-12 mesi. Gli studi finora raccolti sul Sars-Cov-2 riguardano per lo più l’immunità non dovuta alla vaccinazione ma al fatto di aver avuto il Covid (nei pazienti guariti) e il calo dei livelli degli anticorpi specifici contro il virus, che però rappresentano soltanto una parte della risposta immunitaria contro un secondo contagio, come spiega una ricerca dell’Imperial College London pubblicata sul Lancet, o per prevenire lo sviluppo della malattia se nuovamente infettati. Insomma, le informazioni ad oggi sono parziali. “Non sapremo quanto dura l’immunità dopo la vaccinazione fino a quando non avremo più dati su quanto funzionano bene i vaccini contro il Covid-19 in condizioni reali”, scrivono i Cdc, i Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie) statunitensi. “Non conosciamo ancora il livello minimo di immunità che si deve mantenere per proteggere dall’infezione, né quale tipo di immunità fornisce questa protezione”, scrive in un articolo su The Conversation Anne Moore, biochimica all’università di Cork. “Se le risposte immunitarie indotte dal vaccino, come gli anticorpi o le cellule T, calano a livelli molto bassi, ma riescono comunque a prevenire l’infezione, questo vaccino fornisce una protezione per un lungo periodo. Ma se è necessario mantenere alte le risposte immunitarie in maniera costante, allora non lo farà”. In generale, vale quanto detto prima: è importante capire se e quanto una eventuale reinfezione dovuta al calo dell’immunità sia preoccupante. Ma per saperlo purtroppo ci vuole tempo.

4. I vaccini saranno efficaci contro le nuove varianti del coronavirus?

Ancora non lo sappiamo. Per ora le principali varianti note sono tre: quella scoperta nel Regno Unito, in Sudafrica e quella diffusa in Brasile. Secondo gli scienziati è improbabile che i vaccini attuali siano inefficaci contro le varianti rintracciate nel Regno Unito e in Sudafrica. In generale, infatti, le nuove forme di Sars-Cov-2 presentano alterazioni soltanto in alcune parti del virus (in alcuni pezzetti della proteina spike che è il bersaglio della vaccinazione), mentre i vaccini dovrebbero fornire una copertura più completa e dunque funzionare ancora.

Tuttavia, soprattutto sull’ultima variante, quella cosiddetta brasiliana, abbiamo meno informazioni. Sappiamo però che questa raccoglie numerose mutazioni nella proteina spike e che, oltre ad essere probabilmente più contagiosa (come anche le altre due), potrebbe aiutare il virus a evitare di essere riconosciuto dal sistema immunitario e dunque renderlo meno attaccabile dagli anticorpi. Le indagini sono in corso. In ogni caso, anche se ora o in futuro si rivelerà che i vaccini avranno perso efficacia a causa delle mutazioni, le case farmaceutiche potranno adattarli e aggiornarli (nel caso dei vaccini a mRna piuttosto rapidamente).

5. In futuro il Covid-19 sarà come un raffreddore?

Un’altra domanda frequente è cosa succederà nel lungo periodo, fra alcuni anni, se verremo in contatto con il Sars-Cov-2. Gli scienziati stanno già all’opera per capire come potrebbe trasformarsi il Covid-19. Uno studio su Science condotto dalla Penn State e dalla Emory University indica che è possibile che il virus in futuro, fra pochi anni, possa assomigliare a un semplice raffreddore, una forma simile a quella causata da altri ceppi della famiglia dei coronavirus. La ricerca si basa sullo studio dell’evoluzione di forme virali dovute a 4 comuni coronavirus (e del Sars-Cov-1, causa della Sars, sul quale però abbiamo meno informazioni).

Il modello per il Covid mostra che i suoi cambiamenti futuri potrebbero avere un andamento simile a quella delle forme dei 4 coronavirus considerati. In generale in quest’ultimo caso i coronavirus sono molto diffusi coronavirus sono molto diffusi – come potrebbe diventare il Sars-Cov-2 una volta endemico: di solito si contrae un raffreddore nella prima infanzia e poi successivamente si può essere reinfettati con forme molto leggere. Il fatto di avere il primo raffreddore da bambini potrebbe rappresentare un elemento protettivo importante: una prima infezione da coronavirus causa di raffreddore da adulti o da anziani – come avvenuto per il Sars-Cov-2 – potrebbe essere maggiormente pericolosa. La chiave di tutto, dunque, è il passaggio da un andamento epidemico, come nella situazione attuale, ad uno endemico, ovvero la sua comparsa e la presenza stabile in un territorio o in una regione. Questo cambiamento fa sì che la prima esposizione sia precoce, nell’infanzia, e si inneschi il meccanismo descritto Insomma, l’idea dei ricercatori è che anche il Covid potrebbero diventare un malanno di stagione, ma la cautela (e il condizionale) rimane d’obbligo.

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Articolo originale disponibile qui

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